Sii presenza viva di Dio
(Matteo 25:31-46)
Solo Matteo ci racconta questa storia del giudizio finale nel Regno di Dio. Egli dipinge un'immagine del glorioso arrivo del Re e dell'assemblea di tutte le nazioni dei popoli che vengono poi separate in due gruppi, pecore e capre.
Il giudizio viene quindi pronunciato, non sulla base della bellezza fisica, della ricchezza, del potere, dello status, e neanche della pratica religiosa.
Ciò che determina chi erediterà la vita eterna del Regno sono le opere di carità verso coloro che sono nel bisogno: gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ignudi, i malati e i carcerati.
Sorprendentemente, non vi è alcuna menzione dell'elenco dei doveri religiosi come la preghiera, il culto liturgico, il digiuno, il dare le decime così come nessun’altra pratica religiosa identificabile.
Molto probabilmente si presume che queste cose siano già presenti in tutte le persone riunite. Ma la differenza tra i due gruppi consiste nel come hanno risposto alle necessità altrui.
Alla fine della giornata, il discepolo è chiamato ad essere il Regno (presenza vivente) di Dio nel mondo e a trasformare la sofferenza del suo popolo in gioia mediante atti di tenerezza e d’amore. Le capre sembrano aver aggravato le situazioni orribili subite dagli esseri umani a causa della loro negligenza e della loro mancanza d’amore.
Il discepolo virtuoso è la presenza viva di Gesù nel mondo. Realizza che Gesù ha affidato il regno nelle sue mani. Nel Regno di Gesù, il discepolo non è maestro ma ‘servo’: ricordate quanto spesso abbiamo sentito dire che i primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi?
L'intera idea di ‘Regno’ è stata completamente riscritta nell'insegnamento di Gesù: c'è un solo maestro e voi siete tutti fratelli... I discepoli sono davvero dei re -hanno in loro il potere dello spirito di Gesù. Ma questo potere non deve essere esercitato nel senso classico di ‘avere potere sugli altri’, ma essendo veri servi. Il potere dello spirito di Gesù alimenta azioni di tenerezza e d’amore per i fratelli e le sorelle di Gesù, rovesciando le orribili condizioni umane e portando guarigione e salvezza.
Questa è, ancora una volta, una parabola di ‘avvertimento’ per i discepoli per assicurarsi che vivano correttamente la vita del Regno. Non viene intesa come una ‘profezia’ sull'ultimo giorno. È pensata, piuttosto, affinché i discepoli possano prestare attenzione al come cercare di vivere la vita del Regno che è stato loro affidato.
I discepoli di Gesù non devono ripetere l'errore dei farisei che oggettivano la fede in Dio e la riducono all'osservanza esterna.
I discepoli devono afferrare la vita (la grazia) del Regno dentro di loro, e operare laboriosamente con questo grande dono in modo che la vita di Gesù che opera in loro trabocchi in atti di tenerezza e d’amore; cosicché, unendosi nel cuore e nella mente con Cristo (come dice san Paolo), i discepoli diventino Cristo nel momento della storia in cui vivono - vedendo, pensando e agendo come Gesù avrebbe fatto.
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