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Super User

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Mercoledì, 22 Settembre 2021 13:17

Celebrando In Casa - 26 Domenica del Tempo Ordinario

Fare del bene nel nome di Gesù

Oggi vediamo i discepoli che, sorpresi, cercano di apprendere il più possibile da Gesù che li istruisce sul vero senso del discepolato

La scorsa settimana, usando un bambino, Gesù ha cercato di mostrare loro l’importanza per delle guide di mettere da parte i nostri bisogni di un alto status sociale, di presunzione, di potere e di ricchezza e metterci completamente al servizio degli altri.

Ma i discepoli sembrano essere lenti nell’apprendimento. Nel Vangelo di questa domenica, quando riferiscono di aver cercato di impedire a qualcuno di scacciare i demoni nel nome di Gesù solo perché ‘non ci seguiva’, probabilmente si aspettavano che Gesù si complimentasse.

Di tutta risposta ricevono un rimprovero.

Il vero discepolato non consiste nel tenere per sé stessi il mistero del Regno, da dispensare come meglio crediamo, decidendo chi merita il nostro amore, la nostra sollecitudine e il nostro servizio e chi no.

Entrambe le letture di questa domenica ci ricordano che il mistero appartiene a Dio che sceglie e si serve di chi Egli vuole al servizio dell’uomo e della Chiesa. Il vero discepolo deve avere l’umiltà di rendersi conto di essere semplicemente uno tra i tanti che Dio ha scelto. Alla guida del servizio non c’è posto per coloro che si esaltano o si credono detentori di una posizione privilegiata che gli conferisce il potere di controllare il mistero. E la gelosia degli altri distorce le intenzioni di Dio e compromette i nostri sforzi.

Nella seconda parte del Vangelo Gesù reindirizza l’attenzione dei discepoli sul male che si può trovare all’interno della comunità cristiana. Il cattivo esempio o un atteggiamento di superiorità possono essere un ostacolo per i membri più vulnerabili della comunità.

Queste persone non sono neanche come coloro ‘che non ci seguono’ ma che stanno facendo una buona cosa usando il nome di Gesù per il bene delle persone – è un ‘vero’ ma sconosciuto discepolo di Cristo. Coloro che affermano di essere veri discepoli possono benissimo ritrovarsi esclusi dal regno.

Le metafore alla fine del vangelo rappresentano un accorato invito per tutti gli aspiranti discepoli a scrutare i propri cuori e a eliminare quelle cose che sono d’intralcio per l'essere un vero discepolo.

Gesù sposta l’accento dalle buone azioni dell’estraneo che leggiamo all'inizio del brano, alle azioni peccaminose dei membri della comunità alla fine della lettura. Forse sta invitando i discepoli, e noi, a guardare alle nostre motivazioni e al nostro comportamento piuttosto che a giudicare le altre persone.

...

Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

Nella stanza che avete deciso di utilizzare per questa preghiera potreste prendere con voi una candela accesa, un crocifisso ed una Bibbia. Questi simboli ci aiutano a ricordarci della sacralità dei nostri momenti di preghiera e possono aiutarci a sentirci uniti con le nostre comunità locali.

Il seguente testo è strutturato in modo che ci sia una guida e il resto di coloro che pregano, ma le parti della guida possono essere ripartite tra i presenti.

Essere come bambini

Le letture di oggi sono in linea con i temi di domenica scorsa che vedono Gesù come il “servo sofferente” e che trattano la natura dell’autentico discepolato.

Sulla strada attraverso la Galilea Gesù continua a istruire i discepoli dicendo che soffrirà, morirà e risorgerà, ma i discepoli sembrano avere difficoltà a capire e hanno troppa paura per chiedergli spiegazioni. Forse è una terribile verità che semplicemente non vogliono affrontare. Forse vogliono che Gesù sia un “re guerriero”, un liberatore che riporterebbe Israele alla grandezza e annienterebbe i romani. Forse hanno cominciato a pensare a se stessi come principi e governanti nella nuova Israele.

Tra di loro i discepoli non discutono sulle cose importanti che Gesù ha detto loro, ovvero chi è e qual è il suo destino, ma litigano cercando di capire chi di loro fosse il più grande - chi sarà il primo a ricevere onore, potere e gloria nel regno di Gesù.

Usando un bambino come esempio, Gesù dice ai discepoli che chi vuole essere la guida deve essere il primo a servire e a dare senza aspettarsi nulla in cambio.

È difficile per noi comprendere la potenza di ciò che Gesù dice e fa qui. Ai suoi tempi, a differenza di adesso, i bambini non avevano alcuno status o valore sociale. Fino all'età adulta non erano nessuno. Per accogliere un bambino sarebbe stato necessario che una persona mettesse da parte tutte le sue idee sul valore personale e sullo status adulto per “incontrare semplicemente il bambino, alla pari, come ‘bambino’ con il bambino”. Questo è ciò che Gesù sta dicendo ai discepoli di fare. Anzi, addirittura Gesù sorprende identificando se stesso e Dio con un bambino!

Questa è una sfida diretta alla comprensione dei discepoli della messianicità di Gesù e alle loro nozioni su Dio. “Dio deve essere pensato come una specie di Sovrano extraterrestre a cui non è dovuto altro che timore e servizio? Oppure il Dio rivelato da Gesù è un Dio il cui gesto primario verso l’essere umano è quello di Colui che serve, Colui che viene in mezzo a noi nelle vesti di un bambino?” Il gesto insolito di Gesù di abbracciare un bambino in pubblico esprime con forza la preziosità di ogni persona umana agli occhi di Dio, per quanto piccola, insignificante o giovane. Anche noi veniamo abbracciati da Dio in questo momento.

Cercare la gloria non è la chiamata del vero discepolo. Fare le cose per ottenere ricompense non è la vocazione del vero discepolo. Mettere da parte la discriminazione, lo status e poter proclamare l’amore, la compassione, la cura, la giustizia e il perdono di Dio lo è.

Ogni cristiano è chiamato a questo ministero che vede la guida o il leader che, prima di tutto, si mette al servizio.

cfr Byrne, Brendan, A Costly Freedom - A Theological Reading of Mark’s Gospel (Sydney, St Paul’s, 2008), pp 152-153

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

Nella stanza che avete deciso di utilizzare per questa preghiera potreste prendere con voi una candela accesa, un crocifisso ed una Bibbia. Questi simboli ci aiutano a ricordarci della sacralità dei nostri momenti di preghiera e possono aiutarci a sentirci uniti con le nostre comunità locali.

Il seguente testo è strutturato in modo che ci sia una guida e il resto di coloro che pregano, ma le parti della guida possono essere ripartite tra i presenti.

Chi sono io?

Tutti noi, chi più chi meno, ci misuriamo e delineiamo la nostra identità in risposta ai commenti e alle idee degli altri.  Fin da piccoli ci viene insegnato come parlare, vestire e agire per essere 'accettabili' agli occhi degli altri. Si tratta di una buona cosa in sé, ma a volte può prendere una piega terribilmente deleteria.

Le celebrità, i campioni dello sport e i giovani possono diventare così vulnerabili alle attese

e alle reazioni dei frequentatori dei social che finiscono per smarrire la propria identità, oppure si fanno un'idea piuttosto distorta della propria identità. Purtroppo, in entrambi i casi gli effetti sull'equilibrio mentale della persona sono considerevolmente negativi.

Il Vangelo di questa domenica ci insegna come trovare la nostra vera identità.

Sia ‘la gente’ che Pietro si sono fatti un’idea su chi sia Gesù. Per la gente è Giovanni il Battista, Elia o uno dei profeti tornato dai morti. Per Pietro egli è il Cristo, il Messia. Ma quel che segue rivela che Pietro e Gesù hanno idee molto diverse sull’identità del Messia.

Pur avendo ben chiaro che Gesù è il Messia, Pietro fraintende che tipo di Messia Gesù sia. Egli forse voleva un Messia regale e guerriero, potente e glorioso. Non può immaginare come questo suo Messia finisca per morire nel modo annunciato da Gesù.

Gesù chiama Pietro ‘Satana’. Per cogliere la vera identità di Gesù e cominciare a sintonizzarsi con il cuore di Dio, Pietro deve ‘andare dietro’ (seguire) Gesù.

Ciò che si chiede a questi discepoli è la rinuncia alla loro falsa identità (spesso definita da quello che possediamo o dal lavoro che facciamo, dalle nostre delusioni) per scoprire la loro autentica identità di figli e figlie di Dio, da lui amati, tramite una vita donata agli altri nel servizio generoso (prendere la propria croce).

Spesso mi rendo conto che i genitori sono un ottimo esempio di quanto si sta dicendo, perché devono costantemente dimenticare se stessi, le proprie esigenze, speranze o desideri e sacrificare tempo, energie e denaro per prendersi cura con amore dei propri figli. È facendo questo che spesso scoprono il meglio di se stessi.

Nel Vangelo, Gesù, il vero Messia, si mostra non come un glorioso Re divino, bensì come il Servo sofferente di Dio, del quale parla Isaia nella prima lettura. La via della sequela non è questione di auto glorificazione, ma di servizio autentico, nella

scoperta della nostra vera identità di figli e figlie di Dio, da lui amati.

Come discepoli di Gesù cerchiamo di vivere la nostra vita come occasione per servire i nostri fratelli e le nostre sorelle nel mondo. Ma non è possibile far questo fino a quando, imprescindibilmente, non realizziamo la nostra chiamata e la nostra vera identità di popolo di Dio.

È allora che diventiamo una sorgente di amore, misericordia, speranza, compassione, giustizia, verità, sollecitudine e operatività cristiana come servi di Dio e a servizio gli uni degli altri. Ecco cosa significa FARE il Vangelo.

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

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Il seguente testo è strutturato in modo che ci sia una guida e il resto di coloro che pregano, ma le parti della guida possono essere ripartite tra i presenti.

Sciogliere i lacci

Per i provvedimenti di lockdown e le restrizioni imposte ai viaggi dal COVID, molti sperimentano un senso di isolamento. Anche con i vantaggi della moderna tecnologia e dei social, ci sentiamo ancora distanti dai nostri cari, impediti nell’uscire di casa, recarci a lavoro, incontrarci con gli amici. È come se fossimo un po’ partecipi dell’esperienza vissuta dall’uomo del Vangelo di questa domenica: non può sentire, né parlare correttamente. Nel mondo di allora, la vita deve essere stata per lui un’esperienza di profonda emarginazione, paura e frustrazione.

La gente chiede a Gesù di imporgli la mano. In quel tempo vi erano molti guaritori ambulanti, quindi tale richiesta potrebbe indicare che circolava una certa reputazione taumaturgica di Gesù, ma certamente essi non sapevano veramente chi fosse.

Gesù prende l’uomo in disparte, lontano dalla folla, gli pone le dita negli orecchi e gli tocca la lingua con la saliva. Si tratta di due gesti molto intimi e anche piuttosto provocatori. Potremmo chiederci come avremmo vissuto noi un simile approccio se fossimo stati al posto di quell’uomo. Quanto riusciva a capire di quello che gli stava facendo Gesù? E poi, essendo sordo, aveva capito la richiesta della folla a Gesù in suo favore?

Gesù guarda verso il cielo, emette un sospiro e dice: ‘Effatà’ – ‘Apriti!’. E subito l’uomo ode e parla chiaramente. Il suo isolamento sociale è finito. Ora egli può entrare pienamente in relazione con gli altri. L’uomo gioisce, la gente se ne rallegra e, sebbene Gesù lo proibisca, raccontano ovunque l’accaduto.

Nel narrare questa storia, Marco sembra voler dire che senza il contatto intimo e risanante con Gesù, noi restiamo sordi sia alla voce di Dio che al grido dei fratelli, incapaci di entrare in relazione con gli altri. Ma, come siamo toccati dalla forza e dallo spirito di Gesù, ci apriamo alla Parola fatta carne e allo sguardo di Dio sulla vita umana. I nostri legami interiori, le cose che una volta soffocavano in noi la vita, iniziano a cedere ed ecco che cominciamo a parlare chiaramente – in ogni nostra parola e in ogni nostro gesto –  della premurosa tenerezza di Dio per tutta l’umanità.

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

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Il seguente testo è strutturato in modo che ci sia una guida e il resto di coloro che pregano, ma le parti della guida possono essere ripartite tra i presenti.

Cuori, e non mani, puri

Questa settimana riprendiamo a leggere il Vangelo di Marco. L'episodio di questa domenica riguarda la purezza rituale che si contrappone alla purezza del cuore. I farisei erano un gruppo di ebrei particolarmente osservanti. Prendevano molto sul serio l’osservanza dei riti. Questi farisei osservanti e alcuni scribi criticano i discepoli perché “non si comportano secondo la tradizione degli antichi” non lavandosi le mani prima di mangiare.

Questo passaggio non parla di una buona igiene ma di una pratica rituale. Al tempo di Gesù i farisei volevano estendere a tutto il popolo le leggi della purezza rituale, che si applicavano solo ai sacerdoti. Gesù li accusa di sostituire la legge di Dio con semplici norme umane.

Il secondo punto che Gesù sottolinea è che non è ciò che entra in una persona dall’esterno a renderla impura, ma ciò che risiede nel suo cuore e nella sua mente.

Anche noi possiamo cadere nella trappola di pensare che le nostre pratiche rituali (andare a Messa, recitare il Rosario, ecc.) siano tutto ciò che è necessario per essere buoni seguaci di Gesù.

Alcuni cristiani sembrano pensare che osservare la pratica rituale significhi essere a posto con Dio; quasi come un “ripagare Dio”. Fatto ciò, poi sono liberi di agire come meglio gli pare nei confronti delle altre persone.

L’insegnamento di Gesù nel Vangelo di oggi contrasta entrambe queste opinioni.

È il rinnovamento dei nostri cuori, e non le nostre pratiche rituali, che ha bisogno di attenzione ed è la cosa più importante per vivere la vocazione che Dio ci ha dato. Se la bontà di Dio non si manifesta attraverso di noi, dove la vedremo?

Gesù ricorda ai suoi ascoltatori che il male non viene dall’esterno, ma dall’interno. Secondo Gesù, l’essere a posto con Dio non si ottiene attraverso la pratica rituale, ma attraverso la conversione interiore secondo la mente e il cuore di Dio.

La vera religione, secondo la tradizione di Gesù, non riguarda la pratica rituale ma il modo in cui ci trattiamo.

Sono i nostri cuori, non le nostre mani, che hanno bisogno di essere lavati.

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

Nella stanza che avete deciso di utilizzare per questa preghiera potreste prendere con voi una candela accesa, un crocifisso ed una Bibbia. Questi simboli ci aiutano a ricordarci della sacralità dei nostri momenti di preghiera e possono aiutarci a sentirci uniti con le nostre comunità locali.

Il seguente testo è strutturato in modo che ci sia una guida e il resto di coloro che pregano, ma le parti della guida possono essere ripartite tra i presenti.

Signore, da chi andremo?

All’affermazione di fede in Dio da parte del popolo nella prima lettura dal libro di Giosuè dell’Antico Testamento fa eco l’affermazione di fede di Pietro in Gesù nel Vangelo. Giosuè richiama il popolo, è il momento della decisione. Chi sarà il vostro Dio? La gente risponde: ricordiamo ciò che Dio ha fatto per noi. Non abbiamo intenzione di abbandonare il Signore nostro Dio - a differenza di alcuni seguaci di Gesù nel Vangelo.

Si conclude così oggi il nostro cammino attraverso i brani del “Pane di vita” del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni.

Nelle ultime quattro domeniche, Giovanni ci ha accompagnato in un viaggio alla scoperta di Gesù come Parola viva di Dio che ci nutre e ci fortifica nel cammino; come pane vivo che dona se stesso (carne e sangue) per la vita del mondo; e, oggi, come pane della fede. Coloro che condividono il pane della fede sono coloro che hanno scelto di credere in Gesù e di seguirlo.

Solo attingendo vita da Gesù si può essere attratti nella vita di Dio. Ci nutriamo di Gesù perché diventi parte di noi e la sua vita continui a crescere in noi e la nostra vita si agganci alla sua. Quella stessa vita che ci porta ad entrare in comunione con la vita divina. Diventiamo partecipi di quella vita, e ne diventiamo sempre più consapevoli e ci rafforziamo ogni qualvolta ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue.

Questa meditazione di Giovanni ci parla del come Gesù sia ancora presente e fonte di fede e nutrimento nella vita della comunità cristiana post-resurrezione. La “presenza reale” di Gesù continua a vivere nella comunità. Quella presenza è percepita dalla fede e accolta come Parola viva, cibo e bevanda, che nutre i discepoli nel loro cammino per essere la “presenza reale” di Gesù nel mondo, il segno eterno dell’amore di Dio per tutti.

Nella celebrazione eucaristica ci riuniamo in comunione gli uni con gli altri, con Gesù che è Parola, Pane e Vino. Compiamo in modo sacramentale ciò che Gesù compie in modo reale dentro di noi. L’eucaristia ci insegna come vivere la vita come discepoli cristiani, come stare in comunione con Dio gli uni con gli altri attraverso la nostra comunione con Gesù.

Ci configuriamo con ciò che fisicamente mangiamo e beviamo. Il cibo cambia e trasforma le cellule, il sangue, i muscoli, i tessuti e gli organi. Lo scopo della vita cristiana è diventare un altro Cristo. Avere fede, nutrirsi di Lui ci cambia e ci trasforma nel suo corpo e sangue per la vita del mondo. Diventiamo la presenza reale di Gesù nel mondo di oggi.

Collegamenti con lEucaristia

Le parole dei brani del Vangelo delle ultime cinque domeniche si riflettono nella nostra esperienza della celebrazione eucaristica. Ci sono tre “sante comunioni” durante la messa, non una. C’è la comunione dei credenti, quando il popolo di Cristo si riunisce per celebrare l’Eucarestia; la comunione della Parola quando ascoltiamo insieme le Scritture; e la comunione al Pane e Vino quando ne mangiamo e beviamo insieme. E si tratta di “sante” comunioni perché, tramite Cristo, Dio e gli esseri umani sono in comunione gli uni con gli altri e Dio opera nutrendo, guarendo, redimendo e imprimendo il volto del Figlio in noi, in modo da poter essere la presenza viva di Cristo nel mondo di oggi. Nel celebrare con Cristo Parola e Sacramento, anche noi siamo chiamati a nutrire e sostenere gli altri nel nostro cammino verso Dio.

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

Nella stanza che avete deciso di utilizzare per questa preghiera potreste prendere con voi una candela accesa, un crocifisso ed una Bibbia. Questi simboli ci aiutano a ricordarci della sacralità dei nostri momenti di preghiera e possono aiutarci a sentirci uniti con le nostre comunità locali.

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L’anima mia magnifica il Signore

L'Assunzione è una grande festa di speranza! Nel Vangelo e nei brani paralleli di questa festa, apprendiamo che il piano di Dio è che noi, come Maria, siamo destinati a condividere la stessa gloria del cielo, attraverso la risurrezione di Cristo.

La seconda lettura della festa odierna dice: ‘Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti […] Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita’. Tutto ciò è reso possibile dal grande amore che Dio ha per noi.

Il Vangelo è il racconto dell’incontro gioioso tra le cugine incinte, Maria ed Elisabetta. Piena di Spirito Santo Elisabetta riconosce in Maria “la madre del mio Signore” e il bambino nel grembo di Elisabetta, Giovanni Battista, danza di gioia. Elisabetta si sente onorata di questa visita “della madre del mio Signore” e proclama beata Maria perché ha creduto che la promessa fattale dal Signore nel racconto dell'Annunciazione si sarebbe compiuta.

La risposta di Maria a Elisabetta è un’effusione di gioia e di fede, condivisa con Elisabetta, ma anche con noi del XXI secolo. Maria si rallegra poiché queste “grandi cose” che sono successe, a lei persona ordinaria e umile, sono un dono di Dio.

Rispondendo alla grazia del regno di Dio in lei, Maria proclama Dio come il Santo che la abbraccia dall’interno, aprendo a Dio stesso le porte dell’umanità. Si rallegra della potenza di Dio che rende giustizia ai poveri e misericordia ai fedeli.

Il martire carmelitano, il beato Tito Brandsma (1881-1942), dice che anche noi possiamo essere come Maria: anche il Signore ci manda il suo angelo... anche noi dobbiamo accogliere Dio nei nostri cuori e portarlo nei nostri cuori, nutrirlo e farlo crescere in noi perché nasca da noi e viva con noi come il Dio-con-noi, l’Emmanuele.

Auguriamoci di poter respirare la Parola di Dio in ogni momento della vita.

May we breathe the Word of God into every moment of life.

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

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Il seguente testo è strutturato in modo che ci sia una guida e il resto di coloro che pregano, ma le parti della guida possono essere ripartite tra i presenti.

Pane vivo che nutre la vita

Alla fine del Vangelo della settimana scorsa, Gesù aveva detto: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! In altre parole, Gesù ci nutre con il pane vivo della parola di Dio, che è lui stesso. Ma questa parola può essere accolta solo da coloro che credono, cioè che sono in relazione con Gesù. Il primo passo è riconoscere da dove viene Gesù (Dio).

All’inizio del brano del Vangelo di questa settimana vediamo che, con grande incredulità, le autorità ebraiche rifiutano Gesù perché sanno da dove viene e quindi non può essere ‘dal cielo’. Ancora una volta non riescono a vedere il volto di Dio in Gesù. Pensano di sapere esattamente chi è Gesù - conosciamo suo padre e sua madre. E la loro attenzione rimane fermamente fissata sul pane che hanno mangiato, non sulla persona che lo ha fornito.

Gesù dice loro di smettere di lamentarsi e insiste dicendo che solo quelli attratti da Dio possono credere in lui. Gesù insiste ancora una volta sul fatto che Dio attira le persone a credere in lui. Non si può essere ammaestrati da Dio senza ascoltare e credere alla parola di Gesù. E chi crede ha la vita eterna.

Gesù dice ancora di essere il Pane della Vita. Riferendosi alla sua precedente conversazione con la folla nel Vangelo della scorsa settimana, Gesù dice che coloro che hanno mangiato la manna nel deserto sono morti; e quelli che mangiano il pane della vita che egli offre vivranno. La vita viene dall'essere in relazione (in comunione) con Gesù.

Il Vangelo si conclude con Gesù che, ancora una volta, afferma che egli è davvero il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangia questo pane vivrà in eterno. Il pane che Gesù darà è la sua stessa carne offerta sull’altare della croce per la vita del mondo e donata in segno profetico nell’Ultima Cena.

Se entriamo in comunione con Gesù possiamo diventare il pane vivo attraverso il quale Dio continua a nutrire il suo popolo con sapienza, compassione, speranza, perdono e amore.

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

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Io sono il pane della vita

Continua il nostro cammino attraverso il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni. Due settimane fa, Gesù si è mostrato il vero pastore-re, nutrendo la fame interiore del popolo con la Parola di Dio. La scorsa settimana Gesù ha sfamato la fame fisica di una grande moltitudine con un semplice pasto a base di pane e pesce. Il popolo, impressionato da ciò che ha visto, voleva fare di lui un re guerriero, colui che li avrebbe guidati in una rivolta contro i romani occupanti e soddisfatto ogni loro desiderio. Ma Gesù fuggì sul monte.

Questa domenica, vediamo la folla raggiungere Gesù.  Egli li accusa di cercarlo solo perché ha dato loro tutto il pane che volevano mangiare, non perché avessero capito che il pane era un segno del vero cibo che Gesù offriva: se stesso. Gesù li esorta a darsi da fare per il “cibo che dura per la vita eterna”. Si tratta, in fondo, di credere in colui che Dio ha mandato: Gesù stesso.

La folla chiede un segno: perché dovrebbero credere in Gesù? Dopo tutto, dicono, Mosè diede da mangiare ai loro padri del pane nel deserto; cosa farà Gesù? La loro richiesta sottolinea la loro incapacità di vedere realmente il segno che gli era già stato dato. Gesù riformula la citazione che avevano fatto della Scrittura: è Dio che dà il vero pane dal cielo, il pane di Dio che dà la vita al mondo. Allora, dicono: “dacci sempre questo pane”.

Gesù risponde loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai”. Gesù è vero cibo per la fame e la sete del cuore umano.

Per nutrirsi di Gesù bisogna credere (avere fede) in lui. Ciò implica un rapporto personale con Gesù. Una volta che questo rapporto personale è stato stabilito, tutto il resto trova il proprio posto e il vero scopo.

Le nostre relazioni ci nutrono e ci sostengono come esseri umani. Nascono dal cibo dell’amore, della compassione e del perdono. Essere in una relazione significa essere trascinati in comunione con un’altra persona. Traiamo sempre vita da chi amiamo e da chi ci ama. E lo stesso è con Gesù. Per attingere vita da lui, per essere nutriti da lui, dobbiamo essere in relazione d’amore con lui.

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Siamo consapevoli che Cristo è presente non solo nel Santissimo Sacramento ma anche nelle Scritture e nei nostri cuori. Anche quando siamo soli continuiamo a far parte del Corpo di Cristo.

Nella stanza che avete deciso di utilizzare per questa preghiera potreste prendere con voi una candela accesa, un crocifisso ed una Bibbia. Questi simboli ci aiutano a ricordarci della sacralità dei nostri momenti di preghiera e possono aiutarci a sentirci uniti con le nostre comunità locali.

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Giovanni Soreth: riformatore - scrittore spirituale - fondatore delle monache carmelitane e del Terz'Ordine Laico Carmelitano

"Quindi lasciate che l'amore di Cristo accenda il vostro entusiasmo; fa' che la sua scienza sia il tuo maestro e la sua costanza la tua forza. Possa il vostro entusiasmo essere fervido, equilibrato nel giudizio e invincibile, né tiepido né privo di discrezione. Ama il Signore Dio tuo con tutto l'affetto di cui è capace il tuo cuore; amalo con tutta l'attenzione e l'equilibrio di giudizio della tua anima e della tua ragione; amatelo con tale forza che non avrete paura di morire per amor suo."

Giovanni Soreth, Expositio paraenetica

Leggi di piú  https://ocarm.org/it/item/717-b-giovanni-soreth-sacerdote

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