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Celebrando in Casa - Seconda Domenica di Avvento
Preparare la via del Signore
(Luca 3,1-6)
La prima lettura tratta dal profeta Baruc invita a fare lo stesso. Dice di deporre l’abito del lutto e del dolore per potersi rivestire della bellezza e della gloria di Dio.
È un appello al popolo perché diventi il popolo di Dio.
Dio abbasserà i monti e spianerà la strada perché il suo popolo avanzi sicuro, guidato dalla luce di Dio e accompagnato da giustizia e misericordia. Nel Vangelo, Luca fa riferimento a un testo simile trovato negli scritti del profeta Isaia. Raddrizzare i sentieri del Signore può intendersi come un richiamo a cambiare radicalmente la propria condotta, abbandonando il peccato per volgersi a Dio.
È l’azione amorevole di Dio che riempie le valli e abbassa le montagne, è lui che raddrizza e spiana le vie affinché noi possiamo aprirci del tutto alla presenza viva e trasformante di Gesù. Così “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” in noi e attraverso di noi.
Le letture dell’Avvento ci aiutano a prendere coscienza del profondo amore di Dio per noi e della sua presenza in noi per mezzo dello Spirito Santo. La consapevolezza che Dio ci tratterà sempre con amore e tenerezza ci sollecita a tornare a lui confidando
nell’immensità della sua misericordia.
Il nostro cammino di Avvento ci sta indicando come preparare i nostri cuori a una rinnovata scoperta della presenza di Dio nella nostra vita; come riconoscere la presenza discreta di Dio nella nostra vita; come riconoscere la presenza discreta di Gesù fra noi e intorno a noi; come dare un’altra direzione ai nostri passi e volgerci verso Dio con fede, speranza e amore; e come essere presenza viva di Gesù in questo nostro momento storico.
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Celebrando in Casa - Prima Domenica di Avvento
Vegliate! La vostra liberazione è vicina
(Luca 21:25-28, 34-36)
Inizia il grande viaggio dell’Avvento. Le letture dell’Avvento sono un ricco arazzo di immagini incentrate sulla verità che Dio è venuto tra noi. Non pretendiamo di aspettare che Gesù nasca in una stalla. Questo è accaduto una volta, molto tempo fa, e non accadrà di nuovo. Ricordiamo quella nascita come ricordiamo i nostri compleanni.
Il Dio che è venuto tra noi è ancora tra noi. L’invito dell’Avvento è di diventare consapevoli della presenza ‘onni-pervadente’ di Gesù risorto come Emmanuele – Dio tra noi.
Nella prima lettura di questa domenica Geremia prevede la venuta di uno che salverà il popolo di Dio, uno che agirà con onestà e integrità. Nella seconda lettura San Paolo incoraggia il popolo di Tessalonica nella sua sequela di Cristo. Prega che il loro amore cresca e che i loro cuori siano “saldi e irreprensibili nella santità”. I primi cristiani credevano che Gesù sarebbe tornato molto presto come Signore della Gloria.
Col passare del tempo, dovettero ripensare questa convinzione e capire come vivere nel frattempo, il tempo tra la prima e l'ultima venuta di Cristo. Questa è anche la nostra sfida.
Il Vangelo di oggi di San Luca avverte i cristiani di non essere distratti dalle preoccupazioni e dalle insidie del mondo, ma di essere pronti a stare con fiducia davanti al Figlio dell’Uomo quando verrà. Rimanendo costanti nell’amore e attenti alla nostra chiamata, diventiamo la presenza vivente di Gesù fino a quando egli verrà di nuovo.
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Celebrando in Casa - Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re
Un pastore regale
(Giovanni 18:33-37)
In quest’ultima domenica dell’anno liturgico celebriamo sempre la festa di Cristo, Re dell’universo.
La prima lettura dal profeta Daniele parla della venuta di colui che regnerà in nome di Dio in un regno eterno. La seconda lettura dal libro dell’Apocalisse parla di Cristo come ‘testimone fedele’ di Dio e ‘sovrano dei re della terra’. Ecco un re che ama il suo popolo e versa il proprio sangue per salvarlo.
Il Vangelo è tratto dalla Passione di Gesù nel Vangelo di San Giovanni. È il dialogo di Gesù con Pilato sulla sua regalità e sulla natura del suo regno.
Gesù è tutt’altro che un re tradizionale. Questo re regna, non da un trono d’oro, ma da una croce di legno grezzo; nudo, senza ricche e fluenti vesti; nessuna corona ingioiellata, solo spine; nessun gioiello né scettro, solo chiodi nelle sue mani.
Viene in mezzo al suo popolo, non come un tiranno che brandisce armi di sofferenza e morte, ma come un bambino impotente.
Gesù dice che il suo regno non è ‘di questo mondo’.
Non è un regno con confini geografici e nazionali.
Non è un regno nel senso terreno dove regnano potere e oppressione, ma un regno dove regnano giustizia, amore, misericordia, verità e pace.
Alla fine, il discepolo è chiamato ad essere il Regno (la presenza vivente) di Dio nel mondo e a trasformare la sofferenza della sua gente in gioia con atti di amorevole gentilezza.
I discepoli virtuosi sono la presenza viva di Gesù nel mondo. Si rendono conto che fino a quando Gesù non verrà di nuovo, il regno è stato affidato nelle loro mani. Nel Regno di Gesù, il discepolo non è padrone ma ‘servo’.
Il potere dello spirito di Gesù alimenta azioni di gentilezza e d’amore – ribaltando le orribili condizioni umane, e portando guarigione e salvezza.
Ogni volta che ci comportiamo come Cristo, il Regno di Dio e della sua grazia irrompe nel nostro mondo.
Ogni volta che siamo mossi dallo Spirito a proclamare la verità, a rispondere al bisognoso, a lavorare per la giustizia, a trasformare e guarire la nostra società, il Regno di Dio irrompe nella realtà umana e la grazia di Dio diventa chiaramente visibile nelle nostre parole e azioni.
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Celebrando in Casa - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
Quando il Figlio dell’Uomo verrà
(Marco 13:24-32)
Con l’avvicinarsi della festa di Cristo Re la prossima domenica e della fine dell’anno liturgico, le letture di questa domenica assumono un aspetto da ‘fine dei tempi’.
Nel Vangelo Marco presenta una visione della piena instaurazione del Regno e della venuta di Cristo come prova finale della vittoria di Dio. Il linguaggio è necessariamente quello del simbolo e del mito poiché descrive qualcosa che deve ancora venire, non una realtà storica. Ma questo non significa che non abbia alcun rapporto con la realtà.
Lo sfondo in cui è ambientata la visione è un momento di angoscia. Le prime comunità cristiane, come quella di Marco, hanno certamente sopportato molta angoscia attraverso la persecuzione e la sofferenza e le lotte per seguire gli insegnamenti di Gesù.
La venuta nella gloria di Gesù risorto insieme al grande raduno del suo popolo da ogni angolo della terra, vogliono rassicurare una comunità di credenti affaticata e spaventata. Hanno seguito la via del discepolato, condividendo la sofferenza di Gesù, alcuni fino alla morte. Un giorno la vittoria finale sarà di Dio ed entreranno con Gesù nella pienezza del Regno.
Nel frattempo, però, i discepoli devono imparare a leggere i segni della presenza di Gesù nella vita quotidiana. Gesù non è seduto passivamente alla destra di Dio. Attraverso lo Spirito Santo continua ad essere attivamente presente nei cuori e nella vita dei credenti, e nell'universo.
Né i discepoli devono aspettare passivamente la venuta finale. Attendiamo nella paziente speranza, ma non nell’ozio, perché continua il ministero di rendere presente Cristo in ogni pensiero, parola e azione, e in ogni momento della storia.
Il Vangelo si chiude con una nota di incerta certezza: Cristo verrà, ma non sappiamo quando.
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Celebrando in Casa - XXXII Domenica del Tempo Ordinario
La via del servizio generoso
(Marco 12:38-44)
Le letture di questa domenica dovrebbero suscitare e plasmare una nostra risposta a chi è nel bisogno.
Sono due vedove che ci indicano la via per vivere secondo la mente e il cuore di Dio.
La prima lettura racconta della generosità di una povera vedova verso il profeta Elia. Anche se aveva l'ultima porzione di cibo, che stava conservando per suo figlio e per se stessa, era pronta a condividerla con Elia. È stata ricompensata con una fornitura infinita di farina e olio.
La stessa generosità viene mostrata dalla vedova (ma non dagli scribi) nel Vangelo. La sua dedizione e la sua generosità in mezzo alla sua povertà sono state un vero sacrificio.
La vedova è in contrapposizione con i ricchi scribi che sfilano in lunghe vesti e recitano lunghe preghiere per mostrarsi. Gesù li condanna per la loro insincerità, per il loro uso di spettacoli religiosi per esaltare il loro status e per il loro ingiusto sfruttamento delle vedove.
Gesù non vuole che i suoi discepoli imitino la vistosa religiosità degli scribi corrotti, ma piuttosto la sincerità e la generosità della vedova che ha dato ‘tutto’ così come Gesù darà ‘tutto se stesso’ sulla Croce. È un rafforzamento dei messaggi sul ‘venire per servire, non per essere serviti’ che hanno dominato la liturgia delle ultime quattro settimane.
La via di Gesù non è teatrale, ma si tratta di una dedizione sincera e della generosità nel nostro servizio a Dio e agli altri. Ricordiamo le storie contrastanti su Giacomo, Giovanni e Bartimeo nelle ultime due settimane.
Seguire Cristo non significa dare gli ‘avanzi’, ma dare tutto. Le due vedove diedero tutto quello che avevano per vivere. Gesù darà la sua vita per la nostra salvezza.
La via di Gesù è quel tipo di dedizione e generosità disinteressata che vediamo nelle persone che mettono a rischio la propria vita mentre tentano di salvare gli altri dal disastro. I discepoli sono chiamati a dare tutto nella sequela di Gesù e nel servizio generoso agli altri.
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Celebrando in Casa - XXXI Domenica del Tempo Ordinario
Il comandamento più grande
(Marco 12:28-34)
La prima lettura del libro del Deuteronomio e il Vangelo di oggi sono legati dalle parole dello Shemà, il credo che gli ebrei osservanti pregano ogni mattina e ogni sera. Queste parole provengono dal Libro del Deuteronomio: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza . Il titolo, Shemà, è la parola ebraica per dire ‘ascolta’, la prima parola di questa preghiera.
Lo Shemà è in un certo senso una chiamata alla conversione: ascoltare profondamente con il cuore e rispondere alla grazia e alla misericordia di Dio con amore, fedeltà e obbedienza.
Quando uno scriba chiede a Gesù: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”, Gesù risponde citando lo Shemà e poi aggiunge una citazione dal Libro del Levitico (19,18), “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Secondo Gesù, non c’è comandamento più grande di questi.
Lo scriba è colpito da questa risposta. Ciò che dirà poi a Gesù mostra che ha afferrato ciò che Gesù volesse dire. Ripetendo quanto appena detto da Gesù con le sue stesse parole, lo scriba aggiunge anche che questo “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Ora è Gesù che è colpito dalla profondità di comprensione dello scriba: quell’amore è il cuore stesso dell’obbedienza a Dio e più importante anche del culto rituale. A corretta comprensione della Legge dell’Antico Testamento da parte dello scriba lo avvicina al Regno di Dio.
La vera fede, come insegna Gesù, è l’essere in una relazione d’amore con Dio e con il prossimo. I riti religiosi sono pensati per essere modi di riflessione, per assaporare, ricordare, celebrare ed esprimere quell’amore. A volte finiscono per essere semplicemente rituali “vuoti”, quando sostituiamo l’amore con la paura o quando semplicemente cerchiamo di avvicinarci a Dio per dei tornaconti personali.
Il Regno di Dio non è un luogo lontano, ma sono tutti quei momenti in cui il Dio vivo irrompe nella storia umana. Quei momenti portano amore, saggezza, grazia, compassione, generosità perdono e pace. Chi si immerge nelle cose di Dio riconosce la presenza di Dio soprattutto nelle relazioni contraddistinte dall’amore. Se i nostri riti nascono ed esprimono il nostro amore sincero per Dio e per il prossimo, allora hanno valore. Rischiamo sempre di anteporre il rituale alla pratica dell’amore, di pensare di essere a posto con Dio solo assistendo a una liturgia, ‘ripagando’, in un certo senso, Dio.
Le parole di Gesù ci ricordano l’importanza dell'altra parte della nostra vita religiosa: la liturgia della vita quotidiana in cui dobbiamo rendere presenti e visibili l’amore, la misericordia e la compassione di Dio.
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Celebrando in Casa - XXX Domenica del Tempo Ordinario
Che cosa vuoi che io faccia per te?
(Marco 10:46-52)
Esistono diversi tipi di cecità: quella fisica, la mancanza di capire o vedere oltre, riluttanza a vedere una realtà difficile e così via. Da diverse settimane stiamo camminando con Gesù e i discepoli mentre si dirigono verso Gerusalemme. In diverse occasioni i discepoli sono sembrati essere quasi volontariamente ciechi nel comprendere la missione di Gesù. Ogni volta, il loro ego sembra mettersi in mezzo: hanno discusso su chi sia il più grande, si sono preoccupati del loro status sociale e del potere, desiderando di essere ‘governanti’ del Regno.
In questo viaggio Gesù li ha istruiti sulla sua missione e sulla loro chiamata ad essere suoi veri discepoli.
Come abbiamo visto, hanno dimostrato ampiamente una certa resistenza.
Ci avviciniamo adesso alla fine del viaggio. L'episodio evangelico di oggi, la guarigione del cieco Bartimeo, è l’ultima prima che Gesù entri nella Città Santa.
Bartimeo sarà pure cieco, ma rispetto ai discepoli vede più chiaramente chi è Gesù. In termini di fede, sono i discepoli che sono ciechi, ed è Bartimeo che vede.
Anche nella sua cecità Bartimeo riconosce Gesù.
Quando Gesù lo chiama, la sua reazione è piena di energia ed entusiasmo. Si toglie il mantello, balza in piedi e si avvicina a Gesù, in contrasto con l’atteggiamento un po’ titubante dei discepoli.
Gesù ridona la vista a Bartimeo con le parole: ‘Va, la tua fede ti ha salvato’. Ma Bartimeo non va; resta e segue Gesù.
Gesù non solo ha restituito la vista a Bartimeo, ma ha anche rimosso quella macchia di peccato che, a quei tempi, si pensava circondasse le persone con disabilità.
Questa storia è una parabola sul discepolato.
Bartimeo è l’immagine del vero discepolo. Riconosce la sua cecità e chiede la guarigione. Va da Gesù con grande fede ed entusiasmo e poco altro. Con la vista recuperata diventa un seguace di Gesù nel viaggio verso Gerusalemme.
La presenza di Gesù nella nostra vita ci guarisce e ci restituisce alla nostra vera chiamata come Popolo di Dio, in modo che possiamo veramente seguire Gesù nella nostra vita. Quello che Gesù chiede a Bartimeo, lo chiede anche a noi: che cosa vuoi che io faccia per te?
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Celebrando in Casa - XXIX Domenica del Tempo Ordinario
Servitori, non padroni
(Marco 10:35-45)
Ci risiamo! Non è strano chiedersi quanto siano lenti i discepoli nel recepire il messaggio di Gesù. Da settimane li sta istruendo sul Regno di Dio e sulla necessaria conversione del cuore per essere suoi discepoli.
L'episodio del Vangelo di questa domenica mostra che, ancora una volta, semplicemente non intendono. Questa volta sono Giacomo e Giovanni, che insieme a Pietro formano il gruppo di discepoli più vicini a Gesù. Giacomo e Giovanni chiedono i più alti posti d’onore quando Gesù entrerà nella ‘gloria’.
Se da una parte hanno capito che Gesù è il Messia, dall’altra fraintendono che tipo di Messia è e che tipo di Regno annuncia. Gesù continua ad avvertire che dovrà attraversare la sofferenza, la morte e la risurrezione, ma i discepoli sono così concentrati su se stessi che ignorano le sue parole.
Invece di ignorare la sfacciata richiesta di Giacomo e Giovanni, Gesù tenta di andare più a fondo suggerendo loro il sentiero del vero discepolato.
Utilizzando due immagini bibliche, il calice (il destino che attende una persona) e il battesimo (non il sacramento ma l’idea che affrontare prove e pericoli è come attraversare acque tempestose e turbolente) Gesù chiede loro se siano realmente in grado di impegnarsi nel condividere a piena la sua vita e la sua missione. Senza esitare dicono: ‘Lo possiamo’, e Gesù afferma che lo faranno. Ma, quanto ai posti d’onore, assegnarli spetta al Padre.
Gli altri dieci discepoli, rimasti nelle vicinanze, ascoltano la conversazione tra Gesù, Giacomo e Giovanni. Si irritano quando sentono il loro tentativo di entrare per primi e rivendicare i posti d’onore per se stessi – senza dubbio, avrebbero voluto fare lo stesso!
Gesù coglie l'occasione per dire loro, ancora una volta, che la vera grandezza nel Regno di Dio sta nel servizio disinteressato all’umanità. L’autorità all’interno del popolo di Cristo non deve essere esercitata ‘dominando’ sugli altri o ricoprendo posizioni per fini egoistici.
L'autorità deve essere sempre al servizio e a beneficio degli altri. I discepoli sono chiamati ad essere servitori, non padroni. Seguendo Gesù attraverso il Vangelo, vediamo che la sua ‘autorità’ sui demoni, le malattie e la morte, così come il suo insegnamento, portano sempre alla liberazione, ripristinano lo stato di salute e d’integrità e mettono gli altri in una giusta relazione con Dio e con il prossimo.
Questo è il modello che Gesù chiede ai discepoli di seguire. L’unico modo per entrare nella ‘gloria’ di Gesù è seguirlo nel servizio abnegato dell’umanità, come colui che dà la propria vita in riscatto per molti.
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Celebrando in Casa - XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
Nulla è impossibile a Dio
(Marco 10:17-27)
Nella tradizione ebraica, la ricchezza era vista come una benedizione di Dio e la persona ricca veniva considerata come particolarmente favorita da Dio. Insieme all’idea della benedizione e del favore divino esisteva un obbligo divino (spesso ignorato): la cura dei poveri di Dio.
Quando leggiamo la conversazione tra Gesù e il ricco, ci rendiamo conto che quest’ultimo è un uomo buono e retto. I comandamenti che Gesù enuncia sono quelli che hanno a che fare con il nostro modo di relazionarci e di trattare gli altri. Questi, dice il ricco, li ha sempre osservati.
L’amore e l'affetto di Gesù per l’uomo riconosce i suoi autentici sforzi per vivere secondo i comandamenti. Questo amore introduce la chiamata al discepolato: ‘Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!’. Gesù vuole che quest'uomo sia un suo discepolo. Lo sta invitando a passare da uno stile di vita incentrato sulla Torah (legge ebraica) ad uno incentrato totalmente su Gesù.
Quando l'uomo si avvicina per la prima volta a Gesù, chiede che cosa deve fare di più per ereditare la vita eterna pur mantenendo l’attuale direzione della sua vita. Ciò a cui Gesù lo sta invitando è la trasformazione totale della sua vita – per dirigersi verso una nuova direzione. Gesù lo invita a un adempimento ancora più radicale dei suoi doveri verso il prossimo vendendo tutto ciò che ha, donando il ricavato ai poveri, e poi diventando discepolo di Gesù.
Tristemente, il ricco non riesce a fare questo passo. È intrappolato e controllato dai suoi beni e non può lasciarli andare per entrare in una relazione gioiosa e vivificante con Gesù.
Quando Gesù parla di quanto sia difficile per un ricco entrare nel regno di Dio, i discepoli rimangono sbalorditi. Anche loro pensano alla ricchezza e ai beni come un segno del favore e della benedizione di Dio. Gesù conferma la sua tesi insistendo che ‘È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio’. I discepoli rimangono ancora più sconcertati e giungono alla conclusione che se quel ricco non ce la fa ad entrare nel regno, allora che speranza abbiamo noi?
La risposta di Gesù ai discepoli ci dice chiaramente che se ci affidiamo alle risorse e ai mezzi umani è impossibile trovare la salvezza. Ma se ci affidiamo a Dio, allora possiamo essere salvati - è il Dio buono e misericordioso che dà il Regno come dono puro e immeritato.
A volte, proprio le cose che amiamo, in cui troviamo la nostra sicurezza e in cui riponiamo la nostra fiducia, possono rivelarsi essere la nostra rovina e ostacolarci nel nostro viaggio verso il Regno.
Gesù, dicendo che Dio può fare l’impossibile, rassicura i discepoli di ogni tempo, perché rivela che Dio si mette in viaggio con l’uomo, con ciascuno di noi, per aiutare i nostri cuori a riporre la fiducia sull’amore e sulla compagnia di Dio, e non più su noi stessi e sui mezzi umani.
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Celebrando in Casa - XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Amore attento e generoso
(Marco 10:2-16)
Molto probabilmente, la lettura del Vangelo di questa domenica risulterà di difficile comprensione per molti.
Uno dei grandi temi del Vangelo di Marco è che, in Gesù, tutte le cose vengono restaurate per lo scopo originale di Dio. Questo ci fornisce un minimo di contesto per comprendere le parole di Gesù.
Tra studiosi ebrei e rabbini del tempo di Gesù c'era spesso un acceso dibattito sui motivi del divorzio consentiti dalla legge ebraica (Deuteronomio 24, 1). Come ricorda il Vangelo, un uomo potrebbe redigere un ‘libello’, darlo a sua moglie per considerarsi divorziati. In un certo senso, l’atto era inteso come una sorta di protezione per la donna affinché non venisse accusata di infedeltà.
Quando i farisei si avvicinano a Gesù, sembrano già essere consapevoli del suo insegnamento sul divorzio e cercano di coglierlo in fallo nel dire qualcosa contro Mosè e la Legge. Qualcosa che potrebbero usare contro di lui.
Gesù, tuttavia, non parla della Legge, ma dell'intenzione originale di Dio per il matrimonio usando citazioni dal Libro della Genesi.
Le parole di Gesù chiariscono che il matrimonio fa parte del disegno di Dio per gli esseri umani. La bella immagine del marito così attratto da sua moglie che lascia casa e famiglia perché i due diventino ‘un solo corpo’ implica grande amore, calore e intimità. Quando Dio unisce gli esseri umani in questo modo, l'uomo non può dividerli. A seguire, i discepoli interrogano Gesù sul suo insegnamento. È importante capire che la risposta di Gesù riguarda una situazione in cui una delle parti del matrimonio divorzia dall’altra per sposare qualcun altro. Non si tratta di una persona che fugge da una relazione violenta o che è fallita per qualche altro motivo. Quindi, è importante non prendere queste parole di Gesù e usarle come giudizio sulle persone divorziate o risposate.
Vale anche la pena ricordare che la Chiesa stessa prevede un processo per assistere le persone il cui matrimonio fallisce, consentendo loro spesso di risposarsi.
La risposta che Gesù dà riconosce marito e moglie come partner alla pari nel matrimonio. Non è più consentito, secondo Gesù, che un marito ripudi la moglie perché ‘non trova grazia ai suoi occhi’ (Dt 24,1) e viceversa. Gesù, poi, continua ribaltando ancora una volta certe convinzioni. Quando le persone (probabilmente le madri) portano i bambini da Gesù per una benedizione, i discepoli, agendo come guardiani, li cacciano via. Ancora una volta, i discepoli hanno sbagliato e Gesù li rimprovera. Sembrano aver già dimenticato l'insegnamento di Gesù nel Vangelo della scorsa settimana sull’accoglienza dei piccoli.
Gesù stupisce i discepoli insistendo sul fatto che il Regno di Dio appartenga a coloro che lo accolgono come lo farebbe un bambino, che con cuore puro e aperto abbraccia il Regno come puro dono di un Dio misericordioso. Il Regno non può essere guadagnato, comprato o negoziato. In realtà è a portata di mano. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la conversione del cuore per credere in un Dio così buono e così misericordioso da donarci il Regno gratuitamente e senza misura. In entrambe le parti del Vangelo di oggi, Gesù insegna che le donne sposate e i bambini non devono essere trattati come possedimenti o oggetti, ma con dignità e rispetto. Oltre a ricordare l’intenzione iniziale di Dio per il matrimonio, Gesù ricorda anche l’intenzione iniziale di Dio riguardo al come trattare le altre persone, comprese quelle ritenute di scarsa importanza o di nessun conto.
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