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Displaying items by tag: Calendar of Feasts and Memorials

Lunedì, 30 Settembre 2024 13:48

Festa di Santa Teresa di Lisieux

In occasione della festa di Santa Teresa di Lisieux, l'Ufficio Comunicazioni è orgoglioso di presentare tre riflessioni sulla sua vita e sul suo insegnamento tenute da p. Giampiero Molinari, membro della Provincia italiana. Queste tre conferenze fanno parte del programma di formazione permanente per la regione europea. La prima conferenza è stata tenuta nell'ottobre 2023, nel 150° anniversario della nascita della santa e nel 100° anniversario della sua beatificazione da parte di Papa Pio XI. La terza e ultima conferenza è stata tenuta il 20 aprile 2024.

Ogni conferenza include domande per la riflessione.

Ci auguriamo che queste presentazioni sulla vita di Thérèse che sperimenta la misericordia e la grazia, sulla “Piccola Via” di Thérèse e sulla Chiesa vi piacciano e vi spingano a riflettere ulteriormente su di esse nella vostra vita.

Conferenza 1: L’itinerario di Teresa di Lisieux come conformazione a Cristo: misericordia nella fragilità e primato della grazia

pdf Domande di riflessione (362 KB)

Conferenza 2: La “piccola via”: una spiritualità del quotidiano

pdf Domande di riflessione (360 KB)

Conferenza 3: “Nel Cuore della Chiesa” (ms B 3v): L’orizzonte Apostolico di Santa Teresa di Lisieux

pdf Domande di riflessione (361 KB)

Per saperne di più sulla vita di Santa Teresa di Lisieux, Vergine e Dottore della Chiesa

Published in Notizie (CITOC)
Lunedì, 30 Settembre 2024 13:09

Terza conferenza: “Nel Cuore della Chiesa”

“Nel Cuore della Chiesa” (ms B 3v):

L’orizzonte Apostolico di Santa Teresa di Lisieux

Terzo incontro di formazione permanente Famiglia Carmelitana europea

20 aprile 2024

Giampiero Molinari, O. Carm.

pdf Domande di riflessione (361 KB)

Mons. Combes, uno dei pionieri degli studi sulla dottrina di Teresa di Lisieux, ha definito la vocazione della santa essenzialmente apostolica e, più esattamente, missionaria[1]. In effetti, la sua spiritualità decisamente cristocentrica la conduce all’apertura verso la Chiesa, contemplata come corpo mistico di Cristo, e al desiderio di salvezza per tutti i suoi componenti. Significativo quanto scrive al seminarista Bellière, suo primo “fratello spirituale”:

Lei lo sa, una carmelitana che non fosse apostola si allontanerebbe dallo scopo della sua vocazione e cesserebbe di essere figlia della Serafica Santa Teresa, che desiderava dare mille volte la vita per salvare una sola anima (LT 198, del 21 ottobre 1896)[2].

Del resto, credo sia sufficiente rileggere le celebri pagine del Manoscritto B in cui la santa manifesta la serie di vocazioni che percepisce nell’intimo del proprio cuore (cf. Ms B 2v-3r)[3] per coglierne in pieno l’ardore apostolico. In queste pagine Teresa è come un “fiume in piena”:

Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome – scrive rivolgendosi a Gesù – […] una sola missione non mi basterebbe: vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo e fino nelle isole più lontane… (Ms B 3r).

In questa riflessione cercherò, dunque, di delineare sinteticamente alcuni momenti della vita e dell’esperienza spirituale di Teresa, che l’hanno fatta maturare e hanno contributo a far sì che l’unione sponsale con il Maestro sfociasse nell’ansia evangelizzatrice. Papa Francesco, nell’Esortazione C’est la confiance, oltre a ricordare la sua proclamazione a patrona delle missioni, presenta la carmelitana di Lisieux proprio con l’interessante titolo di maestra di evangelizzazione (cf. n. 9), offrendoci al tempo stesso una buona chiave di lettura:

Teresa […] non concepiva la sua consacrazione a Dio senza la ricerca del bene dei fratelli. Lei condivideva l’amore misericordioso del Padre per il figlio peccatore e quello del Buon Pastore per le pecore perdute, lontane, ferite (n. 9).

“Mi sentivo divorata dalla sete delle anime”:

la “Grazia di Natale” del 1886 e l’esperienza di luglio 1887

Al centro del Manoscritto A troviamo il racconto di due momenti cruciali della vita e dell’esperienza spirituale di Teresa: la cosiddetta “Grazia di Natale” del 1886 e la partecipazione al mistero della Redenzione vissuta una domenica di luglio 1887 (cf. Ms A 44v-46v). Abbiamo già messo in luce come questa fase sia centrale per la maturazione della santa, in quanto segna l’inizio di quel processo di liberazione dall’infantilismo per crescere come donna e madre[4]. Il teologo Robert Cheib sintetizza queste pagine così fondamentali del Manoscritto A definendole «un passaggio pasquale dal ripiegamento su di sé alla pro-esistenza»[5], ovvero un donarsi per gli altri. Le parole di Teresa, a conclusione del racconto della “Grazia di Natale”, non lasciano dubbi al riguardo:

[Gesù] Fece di me un pescatore d’anime; sentii un gran desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori, desiderio che non avevo mai sentito così vivamente. In una parola, sentii la carità entrarmi nel cuore (Ms A 45v).

Subito dopo queste righe, la santa prosegue con il racconto dell’esperienza scaturita da uno sguardo di fede lanciato su di un’immagine del Crocifisso che teneva nel suo messalino (cf. Ms A 45v-46v): rimane colpita dal sangue che cade da una delle sue mani e dal fatto che nessuno si dia premura di raccoglierlo. Pertanto – scrive -

decisi di tenermi ai piedi della Croce per ricevere la rugiada Divina che ne sgorgava, comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime… Anche il grido di Gesù sulla Croce mi riecheggiava continuamente nel cuore: «Ho sete!». Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo. Volevo dare da bere al mio Amato e io stessa mi sentivo divorata dalla sete delle anime (Ms A 45v. Grassetto mio. Il corsivo corrisponde alla sottolineatura fatta dalla stessa Teresa)[6].

In questo contesto di fondo, come sappiamo, Teresa si riallaccia ad un fatto di cronaca di quei giorni narrando la conversione del Pranzini, che da “grande criminale” diviene il suo “primo figlio” (cf. Ms A 45v e 46v). La santa vede in tutto ciò una conferma della propria vocazione:

dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare le anime crebbe ogni giorno! Mi sembrava di udire Gesù che mi diceva come alla samaritana: «Dammi da bere!». Era un vero e proprio scambio d’amore: alle anime davo il sangue di Gesù, a Gesù offrivo quelle stesse anime rinfrescate dalla sua rugiada Divina (Ms A 46v).

A mio parere questo noto passaggio è centrale, in quanto mostra l’intimo legame tra la corda sponsale del cuore di Teresa e quella materna, tra la dimensione cristologica della sua spiritualità e l’orizzonte ecclesiale: la profonda comunione con Gesù nei misteri dell’Incarnazione e della Passione dilata il suo cuore aprendolo alla Chiesa.

Questa dinamica sarà una costante dell’intera breve vita di Teresa. Mi limito a qualche esempio. Nella preghiera composta per il giorno della Professione religiosa (8 settembre 1890), distanziandosi dall’opinione comune del tempo secondo cui la dannazione di molte anime era data per scontata, scrive:

Gesù, fa’ che io salvi molte anime: che oggi non ce ne sia una sola dannata e tutte le anime del purgatorio siano salvate!... Gesù, perdonami se dico cose che non bisogna dire: io voglio solo rallegrarti e consolarti (Pr 2)[7].

Nella lettera del 26 dicembre 1896, rivolgendosi al seminarista Bellière, afferma:

Lavoriamo insieme per le anime! Non abbiamo che l’unico giorno di questa vita per salvarle e offrire così al Signore le prove del nostro amore (LT 213).

Nella corrispondenza con la sorella Celina e con i due “fratelli missionari” questa maternità spirituale di Teresa si manifesta in modo particolare, assumendo i connotati di un desiderio che neanche la morte potrà spegnere. A Bellière scrive:

le prometto di restare anche Lassù la sua piccola sorella. La nostra unione, invece di esser spezzata, diventerà allora più intima: non ci sarà più clausura, non ci saranno più grate e la mia anima potrà volare con lei nelle missioni lontane. I nostri ruoli resteranno gli stessi: a lei le armi apostoliche, a me la preghiera e l’amore (LT 220, del 24 febbraio 1897. Grassetto mio)[8].

E a padre Roulland:

Ah, fratello mio, lo sento, le sarò molto più utile in Cielo che sulla terra […] Conto proprio di non restare inattiva in Cielo: il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime (LT 254, del 14 luglio 1897).

“Voglio essere figlia della Chiesa” (Ms C 33v):

il pellegrinaggio a Roma del 1887 e la preghiera per i sacerdoti

Come sappiamo, nel mese di novembre 1887 Teresa partecipa ad un pellegrinaggio a Roma in occasione del giubileo sacerdotale di Leone XIII. Per la santa costituirà una seconda tappa del suo cammino di maturazione, che le produrrà un’ulteriore dilatazione del cuore. Lo prova l’espressione scelta per introdurre il racconto: «ho capito la mia vocazione in Italia» (Ms A 56r). Leggiamo nel Manoscritto A:

Per un mese ho vissuto con molti santi sacerdoti e ho capito che, se la loro sublime dignità li innalza al di sopra degli angeli, ciò non toglie che siano uomini deboli e fragili. Se dei santi sacerdoti che Gesù chiama nel suo Vangelo: «il sale della terra» mostrano con il loro comportamento di avere un bisogno estremo di preghiere, cosa bisogna dire di quelli che sono tiepidi? (Ms A 56r).

La conseguenza a cui giunge Teresa è ovvia: la vocazione del Carmelo è quella di «conservare il sale destinato alle anime» (Ms A 56r), ossia accompagnare con la preghiera e con l’offerta della propria vita claustrale i presbiteri «mentre evangelizzano le anime con le parole e soprattutto con gli esempi» (Ms A 56r). Quanto Teresa senta questa vocazione lo si percepisce da come conclude tali considerazioni: «Bisogna che mi fermi, se continuassi a parlare di questo argomento non finirei mai» (Ms A 56v).

In effetti la preghiera per i sacerdoti sarà una costante nella vita della santa, a cominciare dalla risposta data durante l’esame canonico che precedette la professione: «Sono venuta per salvare le anime e soprattutto a pregare per i sacerdoti» (Ms A 69v). È un tema che ritorna con una certa frequenza nella corrispondenza con la sorella Celina[9] e che sarà presente anche nell’ultimo tratto della sua vita. Lo dimostra quanto scrive nelle ultime pagine del Manoscritto C (redatto nel mese di giugno 1897) parlando dei due “fratelli missionari”:

spero con la grazia del Buon Dio di essere utile a più di due missionari e non potrei dimenticare di pregare per tutti, senza lasciar da parte i semplici sacerdoti, la cui missione è talvolta così difficile da compiere quanto quella degli apostoli che predicano agli infedeli. Insomma voglio essere figlia della Chiesa (Ms C 33v).

Nei confronti poi di questi due missionari, affidati alla sua cura spirituale, Teresa non si limita alla sola preghiera, ma li accompagna all’insegna della maternità e sororità, esercitando una sorta di ministero della consolazione spronandoli a camminare nel solco della “piccola via”. Scrive al seminarista Bellière pochi mesi prima della morte:

[Gesù] permette che io possa ancora scriverle per tentare di consolarla e senza dubbio questa non è l’ultima volta. […] Quando sarò in porto le insegnerò, caro piccolo fratello della mia anima, come dovrà navigare sul tempestoso mare del mondo con l’abbandono e l’amore di un bambino che sa che suo Padre lo ama teneramente e non saprebbe lasciarlo solo nell’ora del pericolo. Ah, come vorrei farle comprendere la tenerezza del Cuore di Gesù […].  La prego, mio caro fratello, cerchi […] di persuadersi che invece di perdermi mi troverà e che io non la lascerò più (LT 258, del 18 luglio 1897).

Attirami, noi correremo all’effluvio dei tuoi profumi” (Ms C 34r):

il “testamento missionario” di Teresa

Nelle ultime pagine del Manoscritto C troviamo un passaggio che si rivela di una certa importanza per il tema su cui stiamo riflettendo. Teresa commenta un versetto del Cantico dei Cantici che, ovviamente, legge secondo la versione della Vulgata: “Attirami, noi correremo all’effluvio dei tuoi profumi” (Ct 1,4)[10], scoprendo in questo breve testo un mezzo per compiere la sua missione (cf. Ms C 33r). Ecco la sua riflessione:

O Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: Attirando me, attira le anime che amo. Questa semplice parola: «Attirami» basta. Signore, lo capisco, quando un’anima si è lasciata avvincere dall’odore inebriante dei tuoi profumi, non potrebbe correre da sola, tutte le anime che ama vengono trascinate dietro di lei: questo avviene senza costrizione, senza sforzo, è una conseguenza naturale della sua attrazione verso di te (Ms C 34r).

Nell’Esortazione C’est la confiance Papa Francesco definisce questa pagina una sorta di “testamento missionario”, intravvedendovi un tema a lui molto caro: l’evangelizzazione per attrazione, e non per proselitismo (n. 10). In effetti, anche in questo passaggio si coglie con facilità lo stretto legame tra la dimensione cristologica e l’orizzonte ecclesiale che caratterizza l’esperienza spirituale di Teresa: proprio il vivere in profondità la sua vocazione nuziale nel silenzio e nella solitudine del Carmelo le permette di sperimentare una feconda maternità spirituale[11].

A ben vedere la riflessione su questo versetto del Cantico dei Cantici non è altro che il risvolto apostolico dell’Offerta all’Amore Misericordioso. Anche in questo caso, infatti, la santa parla di immergersi nell’“oceano senza sponde” dell’amore di Dio (Ms C 34r) e sceglie il simbolo del fuoco, cifra dello Spirito Santo:

Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più gli dirò: Attirami, tanto più le anime che si avvicineranno a me […] correranno rapidamente all’effluvio dei profumi del loro Amato (Ms C 36r).

E termina la riflessione con una sorta di “corollario”: «un’anima infiammata di amore non può restare inattiva» (Ms C 36r).

Per concludere:

il valore apostolico della preghiera

Logicamente Teresa vive l’amore per la Chiesa e la missione secondo la propria vocazione di claustrale. Credo, però, che la sua testimonianza ricordi comunque a ciascuno il valore apostolico della preghiera e dell’offerta della propria croce. Ci sono momenti nella vita dove si può continuare a servire la Chiesa stando come Mosè sul monte (cf. Es 17,8-13). La santa lo ricorda in una lettera a Celina, ponendo la sua convinzione sulle labbra di Gesù:

voi siete i miei Mosè in preghiera sul monte, domandatemi degli operai e io ne invierò; non aspetto che una preghiera, un sospiro del vostro cuore! (LT 135, del 15 agosto 1892)[12].

Discepola di San Giovanni della Croce, Teresa ha compreso perfettamente che si è più utili alla Chiesa con alcuni momenti di preghiera pura che con molte attività staccate da questa fonte[13]. La forza della preghiera, infatti, sta nel renderci docili all’azione trasformante dello Spirito, nel «santificarci, renderci luminosi, accendere in noi il fuoco della Carità di Cristo e questa è la radice del dinamismo missionario della Chiesa»[14].

 

[1] Cf. M. HerrÁiz, Apostolado, in Nuevo Diccionario de Santa Teresa de Lisieux, Editorial Monte Carmelo, Burgos 20032, 87.

[2] Cito gli scritti della santa servendomi della seguente edizione: S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Opere complete. Scritti e Ultime Parole, LEV–OCD, Città del Vaticano-Roma 1997. Utilizzo le consuete abbreviazioni: Ms. A, B, C: Manoscritti autobiografici A, B, C; LT: Lettere; P: Poesie; Pr: Preghiere; QG: Quaderno Giallo di Madre Agnese (dove sono raccolti i cosiddetti “Ultimi Colloqui”, ovvero frasi di Teresa annotate da Madre Agnese nel suo taccuino).

Nella Poesia A Nostra Signora delle Vittorie Regina delle Vergini, degli Apostoli e dei Martiri, composta qualche mese prima, Teresa aveva già espresso tale convinzione: «Aiutando a salvar un’anima / mille volte morir vorrei!» (P 35, str. 4, del 16 luglio 1896).

[3] Cf. R. J. S. Centelles, «En el corazón de la Iglesia, mi madre, yo seré el Amor». Jesús y la Iglesia como misterio de amor en Teresa de Lisieux, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2003, 203-206.

[4] Cf. R. Cheib, L’ermeneutica agapica e nuziale della notte di Thérèse di Lisieux, in Teresianum 73 (2022/2), 539.

[5] Ibidem, 540.

[6] Durante il periodo trascorso in infermeria Teresa ritornerà sulla “Grazia del Crocifisso”. Ecco le sue parole annotate da Madre Agnese nel Quaderno Giallo il 1° agosto 1897: «Oh! Non voglio lasciare che vada perduto questo sangue prezioso. Passerò la mia vita a raccoglierlo per le anime» (QG 1.8.1. Grassetto mio).

[7] Un desiderio già espresso in occasione della sua vestizione: «Oh, io non voglio che Gesù provi la più piccola pena il giorno del mio fidanzamento: vorrei convertire tutti i peccatori della terra e salvare tutte le anime del purgatorio» (LT 74, del 6 gennaio 1889).

[8] Rifacendosi a Santa Teresa di Gesù, la carmelitana di Lisieux esprime il medesimo desiderio a padre Roulland nella lettera scritta il mese seguente: cf. LT 221, del 19 marzo 1897.

[9] Cf. ad esempio LT 94, del 14 luglio 1889; LT 101, del 31 dicembre 1889; LT 108, del 18 luglio 1890; LT 122, del 14 ottobre 1890.

[10] L’attuale traduzione CEI suona così: “Trascinami con te, corriamo” (Ct 1,4).

[11] Cf. R. Cheib, L’ermeneutica agapica, 541.

[12] La santa riprenderà il paragone in una lettera a padre Roulland: «Come Giosuè, lei combatte nella pianura. Io sono il suo piccolo Mosè e incessantemente il mio cuore è rivolto verso il Cielo per ottenere la vittoria» (LT 201, del 1° novembre 1896).

[13] Cf. R. Fornara, Pregare. L’amicizia che trasforma. Introduzione pratica con la guida di santa Teresa di Gesù, Edizioni OCD, Roma 2023, 181. San Giovanni della Croce affronta questo tema nel Cantico spirituale 29,2-3, evidenziando l’importanza ecclesiale dell’amore contemplativo.

[14] R. Fornara, Pregare. L’amicizia che trasforma, 182.

Published in Notizie (CITOC)
Lunedì, 30 Settembre 2024 12:41

Seconda Conferenza: La “Piccola Via"

La “piccola via”: una spiritualità del quotidiano

Secondo incontro di formazione permanente Famiglia Carmelitana europea

24 febbraio 2024

Giampiero Molinari, O. Carm.

pdf Domande di riflessione - Santa Teresa di Lisieux (360 KB)

«È la fiducia e null’altro che la fiducia che deve condurci all’Amore» (LT 197)[1]: trovo significativo che l’incipit dell’Esortazione apostolica pubblicata in occasione del 150° anniversario della nascita di Teresa sia stato tratto dalla lettera del 17 settembre 1896 a Suor Maria del Sacro Cuore e che Papa Francesco commenti in questi termini: «Queste parole (…) dicono tutto, sintetizzano il genio della sua spiritualità e sarebbero sufficienti per giustificare il fatto che sia stata dichiarata Dottore della Chiesa» (n. 2).

Tale lettera, infatti, è il complemento del Manoscritto B (redatto nel mese di settembre 1896 e definito un gioiello della letteratura spirituale[2]), che possiamo considerare il “manifesto” della “piccola via”, cioè quel sentiero di santità che Teresa ha intuito, vissuto in prima persona e quindi proposto alle consorelle, ai due fratelli missionari e a chiunque si accosta ai suoi scritti.

La scoperta della “piccola via”

Come ben sappiamo, la santa narra la scoperta della “piccola via” nelle prime pagine del Manoscritto C (cf. Ms C 2v-3r). Possiamo datarla, con ampio margine di sicurezza, poco dopo il 14 settembre 1894[3]: in quella data, infatti, entra in monastero la sorella Celina portando con sé un taccuino nel quale aveva riportato alcuni brani dell’Antico Testamento, tra cui Pr 9,4 e Is 66,12-13. Questi due testi costituiranno la base biblica dell’intuizione e conseguente formulazione di «una piccola via tutta nuova» (Ms C 2v), considerata l’impossibilità di «salire la dura scala della perfezione» (Ms C 3r). La giovane carmelitana, infatti, è consapevole della propria fragilità a tal punto da ritenersi un «granello di sabbia, oscuro, calpestato dai piedi dei passanti» (Ms C 2v). Eppure il suo desiderio di santità non viene meno: per questo deve trovare un sentiero conforme alle sue reali possibilità, una sorta di “ascensore”.

È in questo contesto di ricerca che Teresa si imbatte nei testi sopra citati, che legge nella traduzione del latino della Vulgata: «Se qualcuno è molto piccolo, venga a me» (Pr 9,4). Notiamo che, nel manoscritto, è la stessa Teresa a sottolineare l’espressione “molto piccolo”: segno che quel versetto le si mostra, in questo particolare frangente, come la Parola di Dio per lei. Lo possiamo intuire da quanto scrive: «avevo trovato ciò che cercavo» (Ms C 3r).

Continuando l’approfondimento s’imbatte in Is 66,13.12: «Come una madre accarezza un figlio, così io vi consolerò: vi porterò in braccio e vi cullerò sulle mie ginocchia». Qui riceve l’illuminazione chiave:

mai parole più tenere, più melodiose hanno rallegrato la mia anima! L’ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, anzi bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre più (Ms C 3r).

La gioia di Teresa si basa su questa “conferma” biblica del volto misericordioso di Dio, che è Padre e Madre, che ci prende nelle sue braccia. La santa manifesta davanti a questi versetti tutto il suo stupore pieno di gratitudine: «dopo un simile linguaggio, non resta altro che tacere e piangere di riconoscenza e di amore!...» (Ms B 1r), scrive nel Manoscritto B. È dalla contemplazione di tale paternità/maternità di Dio che sgorga la fiducia, asse portante della “piccola via”, presentata alla sorella Suor Maria del Sacro Cuore proprio come «l’abbandono del bambino che si addormenta senza timore tra le braccia di suo Padre» (Ms B 1r). Di conseguenza a nessuno è precluso il cammino della santità:

se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che sente la più piccola tra tutte le anime, l’anima della sua piccola Teresa, non una sola di esse dispererebbe di giungere in cima alla montagna dell’amore! (Ms B 1v).

Il “restare piccoli” e il diventarlo “sempre più” significa proprio questo: riconoscere la propria fragilità creaturale, accettarla e porsi con fiducia nelle braccia misericordiose di Dio[4]. Così scrive a P. Roulland:

La mia via è una via tutta di fiducia e d’amore […] prendo la Sacra Scrittura[5]. Allora tutto mi appare luminoso: una sola parola svela alla mia anima orizzonti infiniti; la perfezione mi appare facile; vedo che basta riconoscere il proprio niente e abbandonarsi come un bambino nelle braccia del buon Dio (LT 226, del 9 maggio 1897. Grassetto mio).

Siamo nell’ambito del primato della grazia, su cui ci siamo soffermati nell’incontro scorso[6]. Nell’Esortazione apostolica Papa Francesco lo rimarca con chiarezza: «Di fronte ad un’idea pelagiana della santità (…) Teresina sottolinea sempre il primato dell’azione di Dio, della sua grazia» (n. 17). Si tratta di «riporre la fiducia del cuore fuori di noi stessi: nell’infinita misericordia di un Dio che ama senza limiti e che ha dato tutto nella Croce di Gesù» (n. 20).

La “piccola via” come valorizzazione del quotidiano

Nel Manoscritto B, per descrivere la “piccola via” Teresa si serve del paragone del bambino che, per dimostrare il suo amore, non sa far altro che “gettare fiori”:

il piccolo bambino getterà fiori, impregnerà con i suoi profumi il trono regale, canterà con la sua voce argentina il cantico dell’Amore! (Ms B 4r).

Tale simbolo non ha nulla di romantico, in quanto significa concretamente

non lasciar sfuggire nessun piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna parola, approfittare di tutte le cose più piccole e farle per amore! (Ms B 4rv).

Trovo fondamentale questo passaggio, in quanto a mio parere ci offre la giusta prospettiva per comprendere l’essenza della “piccola via”: una valorizzazione del quotidiano come principale luogo di santificazione. Si tratta, infatti, di offrire gioie e fatiche, nella generosa fedeltà ai doveri del proprio stato, compiere con cuore grande tutte le azioni, perfino quelle apparentemente più banali e quasi monotone che permeano la vita di ogni giorno. In fondo, ciò che Teresa ci propone non è altro che la santità del quotidiano o “della porta accanto”, per usare il simbolo scelto da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate sulla santità nel mondo contemporaneo (nn. 6-9). Per il tema che stiamo trattando, richiamo in particolare il paragrafo 7:

Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante (…) la classe media della santità (n. 7).

La valorizzazione del quotidiano traspare già in una lettera a Celina del 1893. Ne riporto uno stralcio:

quando non sento niente, quando sono incapace di pregare, di praticare la virtù: è allora il momento di cercare delle piccole occasioni, delle cose da niente che fanno piacere […] a Gesù […]: per esempio, un sorriso, una parola amabile quando avrei desiderato di non dire nulla o di avere l’aria scontrosa, ecc., ecc. […] Non sono sempre fedele, ma non mi scoraggio mai; mi abbandono nelle braccia di Gesù (LT 143. Grassetto mio).

A ben vedere, è lo stile che più tardi seguirà e consiglierà ad altri Titus Brandsma, ancora novizio: «Fa’ alla perfezione i lavori di ogni giorno, anche i più banali. È molto semplice. Segui nostro Signore come un bambino. Io saltello dietro a Lui meglio che posso. Ho posto la mia fiducia in Lui e metto da parte ogni preoccupazione»[7].

La “piccola via”: una spiritualità di basso profilo?

Una lettura superficiale di alcuni passaggi potrebbe portare a credere che la “piccola via” sia in fondo una spiritualità di basso profilo. Ma se ci riflettiamo con calma, ci renderemo conto che vivere i valori della fiducia, dell’abbandono e della fedeltà al quotidiano sia tutt’altro che ovvio! Si tratta piuttosto, a mio parere, della scelta consapevole della “porta stretta” di cui ci parla il Vangelo (cf. Mt 7,13-14). Le pagine del Manoscritto C in cui la santa riflette sulla carità come concreto amore fraterno (cf. Ms C 11v-31r) ne sono un’eloquente testimonianza.

In secondo luogo la fiducia richiede un atto di fede, in quanto – sottolinea giustamente il teologo Robert Cheib - «l’altro resta altro e diverso dalle nostre proiezioni su di lui. A maggior ragione l’Altro che è Dio»[8]. Ne sa qualcosa Teresa stessa nel momento in cui, a partire dalla Pasqua del 1896, si trova a vivere la “prova contro la fede e la speranza” (cf. Ms C 4v-7v): il suo cuore viene invaso dalle “tenebre più fitte” (cf. Ms C 5v) e al pensiero della Patria celeste subentra la “notte del nulla” (cf. Ms C 6v), «un muro che si alza fino ai cieli e copre il firmamento stellato» (Ms C 7v). Paradossalmente questo tempo di prova rende ancora più granitica la fiducia di Teresa[9]: «Credo di aver fatto più atti di fede da un anno fino ad ora che non durante tutta la mia vita» (Ms C 7r), scrive nel Manoscritto C, costatando che da quando il Signore

ha permesso che io soffra di tentazioni contro la fede, ha aumentato molto nel mio cuore lo spirito di fede (Ms C 11r. Grassetto mio).

Nelle ultime pagine del Manoscritto C, parlando direttamente a Gesù, la santa continua a cantare la sua misericordia in questi termini:

Il tuo amore mi ha prevenuta fin dall’infanzia, è cresciuto con me, e ora è un abisso del quale non riesco a sondare la profondità (Ms C 35r. Grassetto mio).

Sono espressioni che lasciano stupiti se si considera che escono dalle labbra di una ventiquattrenne malata gravemente di tubercolosi e che sta sperimentando l’assenza della consolazione sensibile di Dio.

La maturità che traspare da queste parole credo sia la migliore manifestazione della serietà e della profondità del cammino spirituale percorso e successivamente proposto da Teresa: una fiducia totale che sgorga dalla consapevolezza di essere, in ogni caso, nelle mani di Dio e che si traduce in docilità all’azione trasformante del suo Amore Misericordioso. La santa ne parla con chiarezza nella lettera a Suor Maria del Sacro Cuore, già citata:

più si è deboli, senza desideri né virtù, più si è adatti alle operazioni di questo Amore che consuma e trasforma! […] amiamo la nostra piccolezza, preferiamo non sentire nulla! Allora saremo povere di spirito e Gesù […] ci trasformerà in fiamme d’amore! (LT 197. Grassetto mio).

Siamo nel “cuore” della “piccola via” e dell’Offerta all’Amore Misericordioso:

la mia stessa debolezza mi dà l’audacia di offrirmi come vittima al tuo Amore, o Gesù! […] perché l’Amore sia pienamente soddisfatto, bisogna che si abbassi, che si abbassi fino al niente e che trasformi in fuoco questo niente (Ms B 3v).

Per concludere: tre prototipi biblici della “piccola via”

Per delineare la “piccola via” come valorizzazione del quotidiano Teresa ricorre principalmente alla Vergine Maria, presentandola come colei che ha praticato le “virtù più umili” (P. 54,6). Alla luce del Vangelo e prendendo le distanze dalla predicazione del suo tempo (e anticipando, in qualche modo, il Concilio Vaticano II), la santa rimane affascinata dalla vita ordinaria della Madonna e la contempla come colei che per prima ha percorso la “via comune”. È ciò che leggiamo nella strofa 17 del poema Perché t’amo, Maria (maggio 1897):

So che a Nazareth, Madre di grazia piena, / povera tu eri e nulla più volevi: / non miracoli o estasi o rapimenti / t’adornan la vita, Regina dei Santi! / In terra è grande il numero dei piccoli / che guardarti possono senza tremare. / La via comune, Madre incomparabile, / percorrere tu vuoi e guidarli al Cielo (P 54,17).

Nel penultimo folio del Manoscritto C Teresa sintetizza in qualche misura il contenuto della “piccola via” servendosi di due personaggi biblici: il pubblicano al tempio (cf. Lc. 18,13) e la peccatrice perdonata, che - secondo la prassi del tempo - identifica con la Maddalena (cf. Lc. 7,36-38). Così scrive: 

Non è al primo posto, ma all’ultimo che mi slancio. Invece di farmi avanti con il fariseo, ripeto, piena di fiducia, l’umile preghiera del pubblicano, ma soprattutto imito il comportamento della Maddalena, la sua audacia stupefacente o, meglio, amorosa che affascina il cuore di Gesù, seduce il mio (Ms C 36v. Grassetto mio)[10].  

Ecco l’essenza della “piccola via”: la fiducia, nell’accettazione della propria vulnerabilità, e l’amore. Con queste due parole termina il Manoscritto C rimasto incompiuto, ma che potremmo leggere provvidenzialmente come la sintesi dell’intera vita di Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo.

 

[1] Cito gli scritti della santa servendomi della seguente edizione: S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Opere complete. Scritti e Ultime Parole, LEV–OCD, Città del Vaticano-Roma 1997. Utilizzo le consuete abbreviazioni: Ms B, C: Manoscritti autobiografici B, C; LT: Lettere; P: Poesie.

[2] Cf. C. De Meester, «A mani vuote». Il messaggio di Teresa di Lisieux, Queriniana, Brescia 19975, 78.

[3] Cf. Idem, Teresa di Lisieux. Dinamica della fiducia. Genesi e struttura della «via dell’infanzia spirituale», San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 75-80.

[4] Cf. Idem, «A mani vuote», 61.

[5] In contrapposizione a «certi trattati spirituali, nei quali la perfezione è presentata attraverso mille ostacoli» (LT 226) e che finiscono per inaridire il cuore di Teresa e stancarle la mente.

[6] Come abbiamo fatto notare in quell’occasione, Teresa sintetizza tutto ciò in questo splendido passaggio del Manoscritto A: «non faccio affidamento sui miei meriti, visto che non ne ho nessuno, ma spero in Colui che è la Virtù, la Santità Stessa: è Lui solo che accontentandosi dei miei deboli sforzi mi eleverà fino a Lui e, coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà Santa» (Ms A 32r).

[7] Citato in S. Scapin – B. Secondin, Tito Brandsma. Maestro di umanità, martire della libertà, Edizioni Paoline, Milano 1990, 23.

[8] R. Cheaib, L’ermeneutica agapica e nuziale della notte di Thérèse di Lisieux in Teresianum 73 (2022/2), 554.

[9] Ibidem, 546.

[10] Teresa riprende la figura della Maddalena nella lettera al seminarista Bellière, del 21 giugno 1897 (lo stesso mese in cui viene redatto il Manoscritto C): «Quando vedo Maddalena avanzarsi in mezzo ai numerosi convitati, bagnare con le sue lacrime i piedi del suo Maestro adorato, che lei tocca per la prima volta, sento che il suo cuore ha compreso gli abissi d’amore e di misericordia del Cuore di Gesù e che, per quanto peccatrice sia, questo Cuore d’amore non solo è disposto a perdonarla, ma anche a prodigarle i benefici della sua intimità divina, ad elevarla fino alle più alte cime della contemplazione» (LT 247).

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L’itinerario di Teresa di Lisieux

come conformazione a Cristo:

misericordia nella fragilità e primato della grazia

Primo incontro di formazione permanente Carmelitani europei

21 ottobre 2023

Giampiero Molinari, O. Carm.

pdf Leggi le Domande di riflessione - Misericordia e grazia (362 KB)  

Introduzione

In questo anno stiamo celebrando i 150 anni dalla nascita di Santa Teresa di Lisieux (2 gennaio 1873) e il centenario della sua beatificazione (29 aprile 1923). Nel 2025 ricorrerà il centenario della canonizzazione (17 maggio 1925). Come sappiamo, inoltre, l’UNESCO ha collocato Teresa tra le donne storicamente significative. Tutto ciò costituisce un buon motivo per riprendere in mano i suoi scritti e rileggerne la dottrina, cercando di farla calare nella vita.

Nell’accostarsi a Teresa non va dimenticato un dato di fatto: se da un lato è sicuramente una luce per aver richiamato i valori perenni del Vangelo, dall’altro (come ciascuno di noi) rimane figlia del proprio tempo. Il suo scrivere risente del clima romantico e un po’ mieloso dell’epoca e si caratterizza per un ampio uso di diminutivi, prolungati segni di interpunzione, ecc. Tutto ciò può non facilitarne la lettura e creare anche un certo fastidio! Se, però, si compie un piccolo sforzo e si va oltre questa “scorza”, si scoprirà un vissuto spirituale molto profondo (sostanzialmente non compreso quando la santa era in vita) e una dottrina, che possiamo definire una teologia narrativa e simbolica.

L’esperienza della misericordia divina nell’alveo della propria fragilità:

una microstoria della salvezza

Possiamo considerare Teresa di Lisieux come il Dottore della misericordia divina. Tale tema appare, infatti, come il filo conduttore dei due Manoscritti autobiografici nei quali rilegge la propria vita (Manoscritto A, la cui stesura prende avvio all’inizio del 1895, e il Manoscritto C, redatto a partire da giugno 1897).

All’inizio del Manoscritto A Teresa delinea lo scopo prefissato:

non farò che una cosa sola: cominciare a cantare quello che devo ripetere in eterno – «Le Misericordie del Signore» (Ms A 2r)[1].

Sulla stessa lunghezza d’onda si pone il Manoscritto C; rivolgendosi alla priora, Madre Maria di Gonzaga, la santa scrive: «Madre amata, mi ha espresso il desiderio che io completi con lei il mio Canto delle Misericordie del Signore» (Ms C 1r).

A questo riguardo non dobbiamo sottovalutare l’incipit del Manoscritto A: «Storia primaverile di un Fiorellino bianco» (Ms A 2r) - che sarebbe meglio tradurre “piccolo fiore bianco” (rispettando l’originale francese) – in quanto nell’intenzione di Teresa viene a racchiudere un’esperienza profonda della misericordia di Dio. Si tratta, infatti, della sassifraga che il papà le dona dopo che gli ha confidato il desiderio di entrare al Carmelo: 

Ciò di cui mi ricordo perfettamente fu il gesto simbolico che il mio diletto Re compì senza saperlo. Avvicinandosi ad un muro non molto alto, mi mostrò dei fiorellini bianchi simili a gigli in miniatura e, prendendo uno di quei fiori, me lo diede, spiegandomi con quanta cura il buon Dio l’aveva fatto nascere e l’aveva conservato fino a quel giorno. Sentendolo parlare, credevo di ascoltare la mia storia, tanto era la somiglianza tra quello che Gesù aveva fatto per il piccolo fiore e la piccola Teresa” (Ms A 50v. Grassetto mio).

Nei suoi Manoscritti Teresa rilegge, dunque, la propria vita come microstoria della salvezza: non è lei il centro, ma l’azione misericordiosa di Dio in lei. La santa è chiara su questo punto: «non è la mia vita vera e propria che scriverò, ma i miei pensieri sulle grazie che il Buon Dio si è degnato di accordarmi» (Ms A 3r). E poco dopo: «Il fiore che racconterà la sua storia […] riconosce […] che solo la sua misericordia ha fatto tutto ciò che c’è di bene in lui (Ms A 3v).

  1. Il contesto della fragilità

Il tema della misericordia divina brilla ancora di più se consideriamo il vissuto di Teresa, specialmente nei primi anni della sua vita. Un periodo segnato da vari fatti traumatici, che le producono ferite non lievi bloccandole, in un certo qual modo, la naturale maturazione affettiva. Eccoli in sintesi:

  1. Le due separazioni vissute intorno all’età di due mesi: dalla mamma, che non può allattarla a causa del cancro al seno e deve affidarla ad una nutrice e, successivamente, da quest’ultima in seguito al rientro in famiglia.
  2. La malattia e la conseguente morte della mamma nel 1877 (cf. Ms A 12r-13r):

Non mi ricordo d’aver pianto molto e non parlavo con nessuno dei sentimenti profondi che provavo… Guardavo e ascoltavo in silenzio… […], eppure capivo (Ms A 12v. Grassetto mio).

Nella pagina seguente leggiamo:

a partire dalla morte della Mamma, il mio carattere felice cambiò completamente; io così vivace, così espansiva, diventai timida e dolce, sensibile all’eccesso. Uno sguardo bastava per farmi sciogliere in lacrime (Ms A 13r).

  1. La partenza per il Carmelo di sua sorella Paolina, che Teresa aveva scelto come seconda madre (cf. Ms A 13r):

Io non sapevo cosa fosse il Carmelo, ma capivo che Paolina mi avrebbe lasciata per entrare in un convento, capivo […] che avrei perso la mia seconda Madre!... Ah, come potrò dire l’angoscia del mio cuore?... In un attimo capii cos’era la vita […] una sofferenza e una separazione continua. Versai lacrime molto amare… (Ms A 25v. Grassetto mio).

  1. Narrando la partenza per il Carmelo della sorella Maria – che, dopo la separazione da Paolina, aveva preso come unico sostegno (cf. Ms A 41r) – Teresa ritorna sul tema: «Paolina era lontana, molto lontana da me!... […]. Paolina era perduta per me, quasi come se fosse morta» (Ms A 41r-41v). Sono parole molto forti, che lasciano ben trasparire il dramma che sta vivendo.
  1. L’esperienza della misericordia con tonalità mariana e cristologica

Come sappiamo, tutti queste situazioni traumatiche le procurano l’insorgere di una malattia psicosomatica, caratterizzata da sintomi quali insonnia, tremori, cefalee, allucinazioni, ecc. Si tratta di una sorta di nevrosi e regressione infantile. Paradossalmente è proprio in questa fase di estrema fragilità e vulnerabilità che Teresa sperimenta la misericordia di Dio, a tal punto da affermare - rileggendo la propria vita - che la caratteristica dell’amore, della grazia, è abbassarsi (cf. Ms A 2v). La santa può dirlo perché ha sperimentato in questo particolare frangente un Dio che si china sulla sua miseria. Per questo, nel redigere il Manoscritto A, ormai «maturata nel crogiuolo delle prove esteriori ed interiori» (Ms A 3r), cita il Salmo 22 (Il Signore è il mio pastore) evidenziando con convinzione: «Sempre il Signore è stato verso di me compassionevole e pieno di dolcezza» (Ms A 3v).

Il cammino di guarigione vissuto dalla santa (che potremmo definire una sorta di personale “cammino di salvezza”) si caratterizza per due tappe fondamentali dalla tonalità, rispettivamente, mariana e cristologica.

Tutti conosciamo il racconto dell’“incantevole sorriso della Madonna” (cf. Ms A 30v-30r), grazie al quale Teresa riacquista una sostanziale (anche se non completa) serenità di fondo: «tutte le mie sofferenze svanirono» (Ms A 30r), «il fiorellino stava rinascendo alla vita» (Ms C 30v), leggiamo nel Manoscritto A. Leggendo con attenzione questo racconto ci renderemo conto che la santa percepisce il sorriso della Vergine come il riflesso della tenerezza di Dio. Lo si può intuire dall’utilizzo del simbolo del “sole” che viene applicato a Dio per sottolinearne la benevolenza (cf. Ms A 3r), ma successivamente viene esteso anche alla Vergine Maria (cf. Ms A 29v) e alle stesse creature nel momento in cui vengono percepite nell’atto di mediare le cure del Sole divino (cf. Ms A 24r).

Benché ristabilita, Teresa si distingue ancora per una notevole ipersensibilità, che definisce come un “brutto difetto” (cf. Ms A 44v). Così si descrive:

Ero veramente insopportabile per la mia sensibilità eccessiva; così, se mi capitava di dare involontariamente un piccolo dispiacere a una persona che amavo […] piangevo come una Maddalena e, quando cominciavo a consolarmi della cosa in sé, piangevo per aver pianto… (Ms A 44v).

A questo punto l’azione misericordiosa del Padre assumerà una connotazione cristologica, centrata sull’abbassamento del Figlio di Dio nel mistero dell’incarnazione. Si tratta della nota “Grazia di Natale” del 1886 (cf. Ms A 44v-45v), così definita dalla santa: «la grazia della mia completa conversione» (Ms A 45r). Costituisce, infatti, un vero e proprio “spartiacque”: Teresa si percepisce così trasformata da non riconoscersi più; da quel momento, scrive, «camminai di vittoria in vittoria e cominciai per così dire, “una corsa da gigante!...”» (Ms A 44v).

Per il tema che stiamo trattando è interessante la sintesi proposta dalla stessa Teresa:

In un istante l’opera che non ero riuscita a fare in 10 anni, Gesù la fece accontentandosi della mia buona volontà che mai mi mancò (Ms A 45v).

In questa rilettura dell’evento del Natale 1886 mi sembra di cogliere, infatti, come la santa sia ormai consapevole del primato della grazia: è sempre l’amore di Dio a compiere il primo passo, accontentandosi della nostra “buona volontà”.   

  1. Il messaggio di fondo:

uno sguardo di fede che apre alla speranza

Attraverso la sua esperienza Teresa ci apre, dunque, alla speranza: nessuna ferita, nessun limite può bloccare il nostro cammino di maturazione verso la santità se ci consegniamo all’azione trasformante dello Spirito. Limiti, ferite, fragilità psicofisiche, il chiaroscuro della vita possono divenire orizzonti di grazia[2] nella misura in cui la nostra quotidianità viene consegnata con fiducia a Dio.

Teresa poteva benissimo ripiegarsi su se stessa, rimanere prigioniera delle sue ferite. L’apertura alla grazia le permette, invece, di uscire dalle “fasce dell’infanzia” (cf. Ms A 44) per vivere nell’ottica del dono di sè: «sentii […] il bisogno di dimenticarmi per far piacere e da allora fui felice!» (Ms A 45v), scrive a conclusione del racconto della “Grazia di Natale”.

La santa ci invita ad affinare il nostro sguardo di fede: nonostante tutte le contrarietà che possono sorgere, nel terreno della nostra vita sono presenti tanti semi della misericordia di Dio (cf. Dt 6,10-13). Ce lo ricorda anche Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate: «Guarda la tua storia quando preghi e in essa troverai tanta misericordia. Nello stesso tempo questo alimenterà la tua consapevolezza del fatto che il Signore ti tiene nella sua memoria e non ti dimentica mai» (n. 153).

È proprio questa consapevolezza, maturata negli anni, a condurre Teresa ad una nuova visione della perfezione. Ne parla nel folio 32r del Manoscritto A (che secondo Conrad de Meester, ocd rappresenta una delle migliori formulazioni della “piccola via”[3]):

sento sempre la stessa audace fiducia di diventare una grande Santa, perché non faccio affidamento sui miei meriti, visto che non ne ho nessuno, ma spero in Colui che è la Virtù, la Santità Stessa: è Lui solo che accontentandosi dei miei deboli sforzi mi eleverà fino a Lui e, coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà Santa (Ms A 32r. Grassetto mio).

È il primato della grazia, la presa di coscienza della gratuità della salvezza, a cui la santa giunge attraverso un graduale cammino di conformazione a Cristo.

 

Conformarsi al Volto di Cristo:

dal volontarismo alla gratuità della salvezza

Semplificando un po’ il discorso, possiamo affermare che la spiritualità dominante all’epoca di Teresa si caratterizza per il rigorismo, l’ascesi, l’offerta alla Giustizia di Dio in riparazione dei peccati e il volontarismo. Al centro troviamo lo sforzo personale, la necessità di acquistare meriti.

Tale clima si respira ovviamente anche al Carmelo di Lisieux (pur facendosi strada anche la visione spirituale di San Francesco di Sales) e lo possiamo scorgere anche in Teresa. L’8 gennaio 1889, due giorni prima della vestizione, scrive alla sorella Sr. Maria del Sacro Cuore: «Come ho sete del Cielo […]. Ma è necessario soffrire e piangere per giungervi… Ebbene! Io voglio soffrire tutto quello che piacerà a Gesù» (LT 79). Nel medesimo anno, riportando la conferenza di un predicatore, scrive a Celina: «La santità consiste nel soffrire e nel soffrire di tutto. “La Santità! bisogna conquistarla con la spada sguainata…”» (LT 89).

  1. “I misteri d’amore nascosti nel Volto del nostro Sposo” (Ms A 71r):

La devozione al Volto Santo e la malattia di Louis Martin

Un altro momento traumatico nella vita di Teresa è rappresentato dalla malattia del papà, a cui era molto legata. Fonte di particolare sofferenza sarà il ricovero, il 12 febbraio 1889, presso un ospedale psichiatrico di Caen, a causa dell’intensificarsi della demenza senile. Significative le espressioni con cui la santa ricorda l’evento:

Ah, quel giorno non ho detto che avrei potuto soffrire di più!!! Le parole non possono esprimere le nostre angosce, quindi non cercherò di descriverle (Ms A 73r).

Pur con sofferenza (come mostra anche l’esame grafologico delle lettere scritte in questo periodo), Teresa affronta la nuova prova con grande maturità spirituale. La malattia del padre la conduce ad approfondire la devozione al Volto Santo, vissuta già in famiglia e successivamente in monastero. Infatti, nel volto non più riconoscibile del padre scorge i tratti del Servo Sofferente descritti dal profeta Isaia (cf. Is 53,1-5 e 63,1-5) e comprende più in profondità l’abisso di umiliazione in cui il Figlio di Dio ha voluto discendere. 

Lo stretto legame che Teresa pone tra la prova che ha colpito suo padre e la Passione del Signore appare chiaramente in un Volto Santo che disegna in una casula poco dopo la morte del padre, avvenuta il 29 luglio 1894. Osservandola anche solo superficialmente, infatti, non sfugge la somiglianza di questa immagine del Volto Santo con i tratti somatici di Louis Martin[4]

Alla luce della Scrittura e della malattia del papà Teresa scopre l’essenza del Volto Santo: parla di “misteri d’amore” (cf. Ms A 71r), di “bellezze nascoste” (cf. LT 108). Nella lettera del 4 aprile 1889 scrive a Celina: «Gesù brucia d’amore per noi […] Guarda Gesù nel suo Volto e lì vedrai come ci ama (LT 87).

Nel Volto sfigurato del Signore Teresa contempla l’amore folle e gratuito di Dio per ciascuno di noi, al di là dei nostri meriti. Davanti a quel Volto non vi è più posto per il volontarismo, per lo sforzo titanico o per la ricerca di meriti, ma la riconoscenza per una grazia divina sempre preveniente. La stessa sofferenza acquista senso solo se conseguenza dell’amore e della fedeltà al Vangelo. Nella lettera del 6 luglio 1893 la santa si rivolge a Celina con queste significative parole:

Egli [Gesù] le insegna a giocare alla banca dell’amore; ma, no, piuttosto è Lui che gioca con lei, senza dirle come fa, poiché questo è affar suo e non di Teresa; ciò che riguarda lei è abbandonarsi, donarsi senza riservarsi nulla, neppure la soddisfazione di sapere quanto la banca renda (LT 142. Grassetto mio).

E nell’Atto di offerta all’Amore Misericordioso, del 9 giugno 1895, scrive: «Alla sera di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere» (Pr 6. Grassetto mio).

Significativo quanto la santa riporta nelle ultime pagine del Manoscritto C (redatto nel mese di giugno 1897, quindi tre mesi prima della morte): «quaggiù non riesco a concepire un’immensità di amore più grande di quella che ti sei compiaciuto di prodigarmi gratuitamente senza alcun merito da parte mia» (Ms C 35r. Grassetto mio).

Conrad De Meester sintetizza il percorso compiuto da Teresa in questi termini:

La santità […] non è più una conquista ma una grazia ricevuta. L’uomo, davanti al Dio d’amore, diventa più passivo, più ricettivo. […] il primo impegno dell’uomo è quello di aprirsi completamente al Redentore, mentre il suo sforzo diventa collaborazione[5].

E più avanti: «La volontà di conquista è stata completamente trasformata in recettività al dono»[6]. Ovviamente ciò non significa una spiritualità di basso profilo: Teresa infatti – sottolinea ancora De Meester - «non trascura nessuno sforzo per essere fedele […] alla volontà di Dio come essa si manifesta nella vita concreta»[7]. La differenza sta in una maggiore tranquillità d’animo di fronte all’impotenza e alla propria fragilità. La lettera 142 del 6 luglio 1893, che abbiamo in parte già citato, costituisce una sorta di “manifesto” al riguardo.

  1. “Fa’ che io ti Rassomigli, Gesù!” (Pr 11)

A questo punto del suo cammino, dunque, Teresa vede la santità secondo una prospettiva radicalmente nuova: si tratta di crescere sempre più nella somiglianza con il Volto di Cristo. È ciò che esprime in una brevissima preghiera, scritta su di una piccola pergamena nella quale era raffigurato il Volto Santo. Il testo suona così: «Fa’ che io ti Rassomigli, Gesù!» (Pr 11). Significativo il fatto che la santa portava sempre con sé questa preghiera, insieme ad altre, in un sacchetto appuntato con uno spillo dalla parte del cuore: quasi una manifestazione visibile del desiderio di vivere il dono di sé come risposta alla gratuità della salvezza.

  

 

[1] Cito gli scritti della santa servendomi del seguente volume: S. Teresa di Gesù Bambino, Opere complete. Scritti e ultime parole, LEV-Edizioni OCD, Città del Vaticano-Roma 1997.

[2] A. Piccirilli, Fragile come tutti, felice come pochi. Teresa di Lisieux e le nostre ferite, San Paolo, Cinisello Balsamo 2019, 14.

[3] C. De Meester, Teresa di Lisieux. Dinamica della fiducia. Genesi e struttura della «via dell’infanzia spirituale», San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 208-210.

[4] L’immagine è visibile in P. Descouvemont – H. N. Loose, Teresa e Lisieux, LEV, Città del Vaticano 1995, 207.

[5] C. De Meester, A mani vuote. Il messaggio di Teresa di Lisieux, Queriniana, Brescia 19975, 44.

[6] Ibidem, 52.

[7] Ibidem, 53.

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Lunedì, 16 Settembre 2024 08:34

S. Alberto di Gerusalemme, vescovo e legislatore

17 Settembre | Festa

Nel 1205 Alberto fu nominato Patriarca di Gerusalemme e poco dopo Legato Pontificio per la provincia ecclesiastica di Gerusalemme. Arrivò in Palestina all'inizio del 1206 e visse a San Giovanni d'Acri perché, in quel periodo, Gerusalemme era occupata dai Saraceni.

A un certo punto, tra il 1206 e il 1214, Alberto fu avvicinato dagli eremiti riuniti sul Monte Carmelo, "presso la fonte di Elia", e gli fu chiesto di esporre il loro stile di vita sotto forma di Regola. La formula vitae di Alberto, un documento relativamente breve, incoraggiava le pratiche quotidiane degli eremiti per "seguire Cristo".

Durante la sua permanenza in Palestina, Alberto fu anche coinvolto in varie iniziative di pace, non solo tra i cristiani ma anche tra i cristiani e i non cristiani, e svolse i suoi compiti con grande energia e dedizione. Il 14 settembre 1214, durante una processione religiosa, fu pugnalato a morte.

L'elenco dei libri disponibili presso le Edizioni Carmelitane su Sant'Alberto e la Regola Carmelitana è riportato sotto.

Per saperne di più sulla vita di S Alberto di Gerusalemme

Leggi di più sulla Regola  |  Testo della Regola

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Books Published by Edizioni Carmelitane on St. Albert of Jerusalem
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Libros publicados por Edizioni Carmelitane sobre San Alberto
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Libri pubblicati da Edizioni Carmelitane su Sant'Alberto
Sito Web di Edizioni Carmelitane

The Carmelites and St. Albert of Jerusalem. Origins and Identity
Patrick Mullins, O. Carm.

Celebrating St. Albert and His Rule. Rules, Devotion, Orthodoxy and Dissent
Edited by Michelle Sauer and Kevin Alban, O. Carm.

The Bollandist Dossier on St. Albert of Jerusalem
Daniel Papenbroeck, SJ | Edited and translated by Patrick Mullins, O. Carm.

St. Albert of Jerusalem and the Roots of Carmelite Spirituality
Patrick Mullins, O. Carm.

The Life of St. Albert of Jerusalem. A Documentary Biography. Part 1
Patrick Mullins, O. Carm.

The Life of St. Albert of Jerusalem. A Documentary Biography. Part 2
Patrick Mullins, O. Carm.

Alberto Patriarca di Gerusalemme. Tempo - Vita - Opera
Vincenzo Mosca, O. Carm.
 

Books Published by Edizioni Carmelitane on the Rule of St. Albert
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Libros publicados por Edizioni Carmelitane sobre la Regla de San Alberto
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Libri pubblicati da Edizioni Carmelitane sulla Regola di S. Alberto
Sito Web di Edizioni Carmelitane

Albert and His Rule
Michael Mulhall, O. Carm.

A Pattern for Life. The Rule of St. Albert and the Carmelite Laity
Patrick Thomas McMahon, O. Carm.

The Carmelite Rule. Proceedings of the Lisieux Conference. 4-7 July 2005
Various Authors

La Regola del Carmelo: Origine, natura, significato
Carlo Cicconetti, O. Carm.

Expositio paraenetica in regulam carmelitarum: Un commento alla regola del Carmelo
Giovanni Soreth | Tradotto da Giovanna D'Aniello, O. Carm.

Abdicatio Proprietatis. Sens et Défi de la Pauvreté Religieuse selon la Règle du Carmel et son inculturation dans le contexte de l'Afrique
Jean-Maria Dundji Bagave Makanova, O. Carm.

La Regola del Carmelo. Per una nuova interpretazione
Bruno Secondin, O. Carm.

In Ossequio di Gesù Cristo. Programma di studi sulla Regola del Carmelo
Emanuele Boaga, O. Carm. & A. de Castro Cotta, CDP 

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Giovedì, 12 Settembre 2024 11:54

Ritrovato intatto il corpo di Santa Teresa d'Avila

Il 28 agosto, le autorità hanno aperto il reliquiario d'argento contenente il corpo di Santa Teresa d'Avila, morta nel 1582. Il processo è stato intrapreso per consentire a medici e scienziati italiani di studiare le reliquie della Santa con l'approvazione del Vaticano. La bara era stata aperta in precedenza nel 1914, a quanto pare per consentire al proponente generale dei Carmelitani Scalzi dell'epoca, Clemente de los Santos, di vedere il corpo del Santo.

Al momento dello studio del 1914 sono state scattate delle foto del corpo. Secondo il postulatore generale dei Carmelitani Scalzi, Marco Chiesa, che era presente a questa recente apertura, il corpo “è nelle stesse condizioni in cui è stato aperto l'ultima volta nel 1914”. Secondo un comunicato stampa, “le parti scoperte, cioè il volto e il piede, sono le stesse del 1914”. Il comunicato stampa afferma anche: “Non c'è colore, non c'è colore della pelle, perché la pelle è mummificata, ma si vede, soprattutto al centro del viso”. ... I medici esperti vedono il volto di Teresa quasi chiaramente”.

Entrambe le visioni hanno confermato che il corpo di Teresa è rimasto incorrotto.

La diocesi di Avila, dove Teresa visse gran parte della sua vita, vuole il riconoscimento canonico delle reliquie da parte di Roma.

Per aprire la bara è stato necessario rimuovere una lastra di marmo. Poi la cassa contenente il corpo è stata spostata in una stanza che è stata riservata allo studio delle reliquie. L'urna è stata aperta alla presenza dell'équipe medico-scientifica e delle autorità ecclesiastiche. La comunità locale dei Carmelitani Scalzi, il postulatore generale dell'Ordine, i membri del tribunale ecclesiastico e un piccolo gruppo di religiosi hanno partecipato cantando il Te Deum.

Il processo di apertura dell'urna ha richiesto l'assistenza di due orafi e di 10 chiavi. Tre chiavi sono conservate ad Alba de Tormes, tre sono conservate dal Duca di Alba, tre sono conservate dai Carmelitani Scalzi a Roma e una chiave è conservata dal re di Spagna. Tre chiavi sono necessarie per aprire il cancello che protegge la tomba, tre sono necessarie per aprire la tomba di marmo e le restanti quattro sono necessarie per aprire il reliquiario d'argento stesso.

Secondo le notizie riportate, gli studiosi “sono rimasti colpiti dal suo magnifico stato di conservazione e dalla sua robustezza”. Negli ultimi anni di vita, Teresa aveva problemi a camminare.  Nei suoi scritti descrive questo disturbo. Secondo padre Chiesa, il dolore che provava è abbastanza comprensibile. “Analizzando il suo piede a Roma, abbiamo visto la presenza di spine calcaree che rendevano quasi impossibile camminare”.

Due orafi hanno assistito nel processo di apertura della tomba e del reliquiario. Sono state richieste dieci chiavi che proteggono la tomba: tre conservate ad Alba de Tormes, tre conservate dal duca di Alba, altre tre che il padre generale conserva a Roma, oltre alla chiave conservata dal re di Spagna. Tre di queste chiavi servono per aprire il cancello esterno, tre per aprire la tomba di marmo e le altre quattro per aprire la bara d'argento.

La tomba del Santo fu donata dal re Ferdinando VI e da sua moglie, Barbara di Braganza. È nota per la sua fine fattura.

Gli scritti di Santa Teresa sono riconosciuti come capolavori della letteratura e della spiritualità spagnola del XVI secolo. Le sue riflessioni sul processo di avvicinamento a Dio attraverso la preghiera e la contemplazione sono considerate punti di riferimento nella storia della mistica cristiana. Ha avviato una riforma all'interno dell'Ordine Carmelitano che, dopo la sua morte, è diventato l'Ordine separato dei Carmelitani Scalzi. Fu canonizzata il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV insieme a Ignazio di Loyola, Isidoro di Madrid, Francesco Saverio e Filippo Neri. Papa Paolo VI la dichiarò dottore della Chiesa nel 1970.

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Venerdì, 02 Agosto 2024 09:52

S. Teresa Margherita Redi (OCD), Vergine

1 Settembre Memoria facoltativa

Nacque ad Arezzo il 1º settembre 1747 dalla nobile famiglia Redi. Nel 1764 entrò nel monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze, cambiando il nome di battesimo Anna Maria con quello di Teresa Margherita del S. Cuore di Gesù.

Approfondì la sua vita spirituale e religiosa nella pietà eucaristica e mariana, e nella devozione al S. Cuore intesa come un "rendere amore per amore". Condusse una vita umile e nascosta nell'amore e nell'immolazione di se stessa, e dedita al servizio premuroso e costante verso le sorelle. Morì, stroncata da una peritonite, il 7 marzo 1770. Beatificata nel 1929, venne canonizzata da Pio XI il 13 marzo 1934.

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Venerdì, 02 Agosto 2024 09:45

B. Jacques Retouret, Sacerdote e Martire

26 Agosto Memoria facoltativa

Nacque a Limoges (Francia), il 15 settembre 1746 da una famiglia di commercianti. Fu un giovane serio, amante dei libri e di grandi doti. A quindici anni venne accolto nel convento carmelitano della sua città nativa. Dopo l'ordinazione sacerdotale, il suo carattere fervido e serio attirò l'ammirazione di tanti fedeli, in modo particolare con la sua predicazione. Ma molto spesso non poteva adempiere a tutti i suoi impegni, soprattutto a causa di una cattiva salute che lo tormentò per tutta la vita.

La Rivoluzione francese non risparmiò la sua vita. Come la maggior parte del clero P. Jacques rifiutò il giuramento a sostegno di una legge civile approvata unilateralmente, che decretava l'elezione dei vescovi e dei parroci direttamente dal popolo e successivamente approvate dal vescovo o dal Papa. Oltre a questa incriminazione, P. Jacques fu accusato di far parte di un gruppo di emigrati politici che avevano invaso il paese contro i rivoluzionari. Fu arrestato e condannato, insieme a molti altri sacerdoti e religiosi, e costretto all'esilio nella Guinea francese dell'America del Sud. Fu deportato a Rochefort e segregato in una nave prigione. Intanto accadeva che gli inglesi bloccavano la costa francese e impedivano, quindi la partenza delle navi. Le condizioni dei prigionieri sulle navi erano inimmaginabili: sovraffollamento, fame, malattie, freddo e caldo, odori insopportabili, persecuzioni.

P. Jacques Retouret morì a Madame Isle, alcuni miglia lontano da La Rochelle, il 26 agosto 1794 all'età di 48 anni. E' stato beatificato, insieme ad altri 63 sacerdoti e religiosi martiri per le fede, il 1 ottobre 1995 da Giovanni Paolo II.

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Venerdì, 02 Agosto 2024 09:32

Santa Maria di Gesù Crocifisso (OCD), Vergine

25 Agosto Memoria facoltativa

Mariam Baouardy nacque ad Abellin in Galilea il 5 gennaio 1846, da genitori molto poveri ma altrettanto onesti e pii cristiani greco-cattolici. Rimasta orfana di entrambi i genitori a soli tre anni di età insieme al fratello Paolo, venne affidata ad uno zio paterno, che alcuni anni dopo si trasferì ad Alessandria d'Egitto. Non ricevette alcuna istruzione scolastica: era analfabeta. A tredici anni, per il desiderio di appartenere solo a Dio, rifiuta con fortezza il matrimonio che, secondo le consuetudini orientali, le aveva preparato lo zio. 

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Venerdì, 02 Agosto 2024 08:59

B. Angelo Agostino Mazzinghi, Sacerdote

17 Agosto Memoria facoltativa

Nacque a Firenze, o nei pressi, in data sconosciuta, ma certamente prima del 1386. Ricevuto nell'Ordine nel 1413, fu il primo figlio della riforma di S. Maria delle Selve.

Ivi negli anni 1419-30 e 1437 e poi a Firenze negli anni 1435-37 esercitò l'ufficio del priore. Lettore in teologia, si distinse nella predicazione della parola di Dio.

Morì a Firenze nel 1438. Il suo culto, già praticato in alcune località, fu confermato nel 1761.

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